VIENI GIÙ…

Sono seduta sul bordo del pozzo oscuro.

Conosco questo posto, sono già stata qui.

Guardo avanti. Le mani poggiate sull’imboccatura della voragine e le gambe penzolanti che giocherellano picchiettando il muretto.

Sono già stata qui.

Blocco le gambe.

Mi fermo.

Guardo dietro, oltre le mie spalle e osservo il nero dell’abisso.

Ciao, ti ricordi di me?

Sono già stata qui.

Perché non torni quaggiù?

Sono stata qui per mesi, nel buio. Quando niente era più importante.

Ora, che faccio?

È un periodaccio.

Annunciato così, senza preamboli.

Mi sono ripetuta che c’entrasse la fine dell’estate. La mia anima leonina e solare la patisce sempre. Ma, no. Non è solo questo.

Si sono accumulati pensieri, preoccupazioni, tutte quelle paranoie (che tanto paranoie non sono) che mi lasciano sveglia di notte a discettare sul senso della vita, l’utilità di certe esperienze, la presenza o assenza di certe persone, la validità di certi rapporti…

Sono stanca.

Esamino i vari aspetti della mia vita:

Qui? Qui schifo.

Qui? Qui merda.

Qui? Qui lascia perdere!

Sì, sicuramente a ben guardare SONO molto FORTUNATA. Ok.

Lo so, ne sono consapevole e quando voglio essere ottimista lo penso e ne prendo coscienza.

Però…

Ecco, ultimamente ci sono dei “però” importanti.

Sono stanca.

Non è da me fare piagnistei.

«Lo sai, non mi lamento mai, però…»

«…però a un certo punto, basta!» ha finito per me la frase, il mio interlocutore.

«Esattamente, basta. A volte è semplicemente troppo»

Sono arrivata al “troppo” al punto di rottura, seduta sul ciglio del baratro che ben conosco.

Mi annoia sentire lamentele, davvero. Del tipo che la gente mi parla, fingo di ricevere una telefonata e mi allontano.

Mi vergogno un po’ di certi sentimenti (neanche tanto) ma, certe volte, quando qualcuno mi rovescia addosso la propria immondizia mentale, vorrei dargli una testata sui denti. Far tacere l’incessante lamentela a oltranza.

C’è gente che credo lo faccia di professione. “Trova ogni giorno nuovi motivi per lamentarti!” gioca anche tu!

Ecco perché detesto lamentarmi, non vorrei mai essere così.

Ma sono stanca.

Ha già cominciato.

È così che inizia, piano piano. Dapprima col prendersi meno cura di sé, piccolezze – forse – ma fondamentali.

Vabbé, i capelli li lavo domani…

Lo smalto può resistere un’altra settimana…

Poi continua alternando la bulimia famelica all’inappetenza. L’accidia più completa all’iperattività.

Cercando di riempire tempo, spazio, pensieri, per non vedere la voragine che si fa sempre più strada e ingoia ogni cosa.

Poi ti suggerisce di non interagire con nessuno, facendoti sentire inadeguata e fuori posto, ovunque.

No, non mi va di uscire…

Meglio chiudere tutto e mettersi al riparo.

Affrettarsi a rispondere degli insulsi “Tutto ok!” se qualcuno ti chiede come stai.

Non parlare, non spiegare, non far entrare, sparire.

Meglio questo stato di apatica atarassia, del dolore.

Meno persone vedi, meno possibilità c’è che tu venga ferito.

Non che ci sia la fila alla mia porta, chiaro.

Chi c’era quando? Nessuno…

E quando? Nessuno.

Ah…

Forse dovrei lasciarmi andare solo un po’, sprofondare appena, cadere quel tanto che basta.

Vieni, dài, vieni giù.

Potrei riposarmi un pochino, ne ho bisogno.

Scendi, vieni qui. Niente più sveglie, niente più doveri, niente più è importante.

Niente, non voglio sentire più niente.

Mi siedo a cavalcioni sul muretto, una gamba fuori e l’altra dentro. Verso il nero profondo.

Poi le posiziono entrambe all’interno. Picchiettando coi talloni la bocca e osservando giù, nel fondo, l’oscurità.

Fai un saltino e scendi, vieni qui.

Sono già stata qui.

Perché non torni quaggiù?

Sono stata qui per mesi, nel buio. Quando niente era più importante.

Sono tanto stanca.

Scendi, vieni qui. Niente più è importante.

Ora, che faccio?

Vieni, dài, vieni giù.

È un periodaccio…

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