Uno dei mali del nostro tempo risiede nel fermare il nostro giudizio all’apparenza. Ancora peggio, quando qualcuno è convinto che ciò che pensa sia l’assoluta realtà, senza beneficio del dubbio e senza basi concrete sulle quali formare il proprio giudizio.
Questo ho pensato, durante quella che doveva essere una innocua spedizione fine solo a comprare il cellulare nuovo.
Ma andiamo con ordine.
All’epoca, lavoravo anche di sabato e questo fatto, oltre a rendermi perennemente stanca e stressata, riduceva al minimo il tempo che potevo dedicare a me stessa.
Sabato nove luglio 2016 avevo deciso che avrei sfruttato la pausa pranzo per le mie commissioni, tra le quali, quella di cui sopra.
Inoltre, dopo un mese di silente preoccupazione, mi ero decisa a fare un controllo che l’avrebbe placata o concretizzata.
Se esiste un termine contrario di “ipocondriaco”, io lo incarno alla perfezione. Se si palesa un minimo problema di salute lo liquido con un «Come è arrivato, così se ne andrà» e non me ne occupo più.
(e il bello è che rompo le scatole a tutto il resto del mondo con la prevenzione, ma – vabbè – questa è un’altra storia…)
Quindi, potete immaginare quale fosse il mio stato d’animo e i miei pensieri visto che, alla fine, avevo preso in seria considerazione la possibilità che avessi un problema serio.
Trascorsi oltre trenta giorni in cui non solo non passava, ma peggiorava pure, avevo finalmente prenotato un esame diagnostico che avrebbe potuto cambiare il corso della mia vita.
Potete capire quel che mi passava per la testa.
Ero andata sola, senza dire nulla a nessuno, e avevo deciso che – qualunque fosse stato il risultato – poi sarei andata a comperarmi il telefono nuovo. Perché me lo meritavo.
E così ho fatto.
Non sono una fanatica della tecnologia, ma ci tengo a comperare prodotti di qualità, perciò avevo già dato un’occhiata online e avevo le idee abbastanza chiare sui modelli da prendere in considerazione e, sicuramente, la marca.
Sono andata dritta verso l’espositore degli smartphone per vederli da vicino.
Un nanosecondo e mi si è affiancata una sorridente venditrice “monomarca”, brandizzata dalla testa ai piedi, che voleva decantarmi le meraviglie dei loro telefoni.
Sebbene non promuovesse la compagnia che avevo scelto, l’ho lasciata parlare.
Pure loro stanno qui per lavorare, la ascolterò. Non mi costa nulla.
Ha iniziato enunciando i pixel delle fotocamere, come se fossero la discriminante fondamentale.
Quindi, mi ha scansionata dalla testa ai piedi, per poi apostrofarmi con un:
«Tanto tu che ci dovrai fare col cellulare? Lo userai giusto per Whatsapp, Facebook e per farti le foto…»
D’istinto, ho alzato il sopracciglio sinistro e mi sono passata la lingua sulle labbra, come una fiera che si prepara a pregustare il proprio pasto.
Alle 14.45 di sabato 9 luglio 2016 ho avuto la conferma che la gente si basa sull’apparenza, che se hai un aspetto curato sei per forza una sciacquetta e che gentilezza e cordialità vengono spesso scambiate per stupidità, con il tacito permesso di poter dire tutto.
La fiera iena che è in me ha disteso la schiena, portato i capelli dietro le orecchie e continuato a mordersi le labbra.
Quella che stava per fungere da pasto ha aperto la fotocamera e ci ha inquadrate, per mostrarmi l’alta definizione e la possibilità di modifica delle pic. L’ho fermata con la mano e mi stupisco molto di come non l’abbia colpita al volto.
«Ehm… Mi dispiace tanto deluderti, ma non passo la vita a farmi le foto e non mi interessa farlo. Perciò, se la tua illustrazione concerne esclusivamente quanto questo telefono sia performante dal punto di vista fotografico, non mi conquisterai mai. L’unico motivo per cui ti ho lasciata parlare, è perché ho visto – da sola dalla scheda tecnica – che questo smartphone ha 2 Gb di RAM, 16 di memoria interna e memoria espandibile, ed era quello che mi interessava. Tu non ne hai fatto minima menzione, ma – sai – io sì, perché noi ochette usiamo gli occhi mascarati non solo per specchiarci, ma anche per guardare ciò che ci preme.
In merito al fatto che la gente col telefono ci lavori, ti dirò che io di lavori ne faccio due e, per diletto, mi piace scrivere. Quindi, questo vuol dire che, non solo uso quasi tutte le app che un apparecchio possiede e che forse – benché sia il tuo di lavoro – tu non hai nemmeno mai visto, ma anche che ho a che fare, quotidianamente, con una quantità di persone, mail, problemi, cazzi e mazzi, che non puoi proprio immaginare! In più, quando mi avanza tempo, mi piace divertirmi e quindi, sì, uso pure WhatsApp e Facebook e aggiungici altre centinaia di persone e gruppi e situazioni e cazzi e mazzi per diletto. Ti ho lasciata parlare perché ho sempre rispetto di chi lavora, ma tu non sembri averne per chi potrebbe regalarti una percentuale. Forse ti risulto un pochino esagerata e inacidita, ma se ti raccontassi quel che ho passato nell’ultimo mese, forse ti metteresti a piangere insieme a me, ammesso che la tua tracotante supponenza possa concedertelo. Comunque questa marca non l’avrei mai comprata, perché fa schifo. E tu di certo non aiuti a incrementare le vendite. Buon lavoro» .
Forse dovrei rallegrarmi che il mio aspetto non tradisca mai i miei profondi turbamenti interiori.
Sogno un mondo in cui tutti sappiano guardare oltre le apparenze e le maschere.
In cui si riesca a cogliere l’intima essenza delle persone, le paure, il carattere, le intenzioni, al netto delle difese.
Ma, forse, è meglio di no. Non avremmo più la possibilità di nasconderci.
Di scegliere a chi destinare la parte più intima di noi, quel posticino riservato a pochi, con le mura rivestite di empatia.
Forse è meglio così. Ci aiuta a riconoscere i superficiali. A distinguere quelli veramente interessati.
Comunque state tranquilli tutti, so a cosa state pensando e so che siete preoccupati.
Non dovete. Non siate in apprensione.
I selfie col nuovo telefono vengono benissimo.
Allego prova fotografica . 😉