INTENZIONALMENTE INFELICI

Entrando alla festa, il mio ingresso era stato accolto da Rino Gaetano e una delle mie canzoni preferite.

Il caso, che non è mai a “caso”, aveva voluto così.

Ero contenta, anche se da un po’ di tempo ascoltarla mi faceva pensare a Lui.

Mi rammentava quando l’avevamo cantata insieme, felici, spensierati, in uno di quei momenti perfetti.

«…dammi la mano e torna vicino…»

Ora – invece – rimandava ai ricordi successivi, poco piacevoli, da botta allo stomaco, che mal si addicevano a una serata di bagordi sulla spiaggia.

Che cazzo, però.

Una ci mette tutta la vita a scegliersi le proprie canzoni, la colonna sonora della propria esistenza,  e poi a causa di un ricordo te le mandano di traverso. Arriva un tizio qualsiasi che te le guasta, te le “rovina”, che ti fa storcere il naso quando le ascolti, che ti demolisce l’umore in un attimo.

Non va bene.

Quando l’ho permesso?

Avevo cercato di distogliere la mente dal pensiero di lui, col fiero intento di divertirmi.

Eppure si riaffacciava.

Lui non c’era, ma era lì.

Concentrati su altro, cavolo!
Guardati intorno: sei a un “White Party”. Ci sono centinaia di uomini in camicia bianca, C-A-M-I-C-I-A B-I-A-N-C-A, e tu pensi all’ultimo al quale dovresti pensare!

Credi che lui si stia consumando per te?

Che ci posso fare?

Sono una che pensa, che rimugina, che si fissa.

Sono così.

Mi sono tornate in mente tutte le serate che ero riuscita a rovinarmi da sola con le mie mani o, meglio, coi miei pensieri, a tutte le volte che, con la testa altrove, non mi ero goduta il presente, il posto, la musica e diverse persone.

Che stupida.

Ho sentito un pianoforte, familiare.

Einaudi.

Il MIO Ludovico suonato a una festa sulla spiaggia. Curioso.

Le mie canzoni, il mio stabilimento, la mia estate, la mia festa, perché devo guastarmi tutto questo?

Non poteva essere una serata qualsiasi, passata col muso a rimuginare.

Infatti, la ricorderò come la sera che ho fatto pace col mio ex.

Il mio ex liquore.

Ho bevuto nuovamente il Gin, dopo quindici anni che non lo toccavo.

Se dovessi associare un sapore a tutte le serate passate in discoteca in gioventù, vi accosterei senz’altro quello acre e profumato del Gin Lemon.

Era il mio cocktail preferito, finché una volta mi fece male e non lo toccai più.

Non ho mai riprovato a berlo, mi sono limitata a schivarlo con attenzione, senza concedergli appelli.

Era diventata anche una delle mie battute preferite: «Posso ingurgitare tutto, tranne il Gin!»

Un’etichetta, un paletto, un limite. Uno dei tanti che ci affibbiamo.

Sono così. Punto. Questo lo faccio, quello no. È sempre stato così, perché dovrei cambiare?

Poi se qualcosa mi ha fatto già male una volta, la eviterò sempre.

Ecco il punto.

Invece quella sera, complice il caos e la fretta, ho deciso che avrei potuto dargli un’altra possibilità.

Che magari sarei stata male di nuovo, ma poi sarei sopravvissuta. Come sempre, come tutti.

Invece, non solo non mi ha fatto male, ma mi sono accorta di quanto, nella mia vita, fosse mancato per tre lustri il Gin, a causa dei limiti che ci auto imponiamo. Della paura di farci male di nuovo. Dei ricordi dolorosi passati che condizionano le nostre scelte nel presente. Degli scudi che ergiamo per difesa e di quanto siamo bravi nel farlo.

Potrei tenere dei corsi sul tema: “Manuale di tutela personale – Vol. I, II e III”.

Come è molto più facile passare una serata in disparte, a rimuginare, nel proprio orticello sicuro, piuttosto che buttarsi nella mischia, mettersi in gioco, parlare, scherzare e – orrore, orrore – flirtare e socializzare. Scoprire uno sconosciuto.

La settimana precedente mi era successo qualcosa di simile con lo smalto. Porto il french semplice da sempre, mi conoscono tutti così. Mi sono sempre detta che gli altri colori non mi donassero che non mi piacessero addosso a me e alle mie manone. Così, d’improvviso, ho deciso di osare un rosa pallido e devo dire che mi piace parecchio.

Sono piccolezze, magari. Ma rappresentano un’uscita dagli schemi, dal conosciuto, dai paletti del “Sono fatta così, non posso cambiare”.

Non lo posso fare;

Mi dà fastidio;

Non è da me;

Non ci riesco;

Non lo faccio;

Mi fa male;

Mi fa male pensare;

Mi fa male ascoltare;

Quante di queste frasi pronunciamo?

Quanto è più sicuro nasconderci dietro a esse?

Come se volessimo rimanere attaccati al nostro dolore, alla nostra convinzione, per sicurezza.

Perché non abbiamo il coraggio di (ri)scoprire qualcosa di nuovo.

Esattamente come stavo permettendo a un uomo di rovinarmi la serata e una delle mie canzoni preferite, solo perché avevo scelto di farlo.

E se tutti paletti, i limiti che ci poniamo o i pensieri consolidati che continuiamo a perpetrare, sebbene li riconosciamo come dannosi, non contribuiscano a renderci INTENZIONALMENTE INFELICI?

Se fosse vero?

Se la nostra infelicità dipendesse solo da noi e da pensieri e azioni che scegliamo deliberatamente di compiere, seppur consci di quanto siano dannosi?

O se, al contrario, preferiamo restare immobili, fermi nelle nostre convinzioni, come vigliacchi impauriti?

Se ci ostinassimo a complicarci la vita e focalizzarci su quello che non dovremmo?

Come quando vogliamo a tutti i costi conoscere una verità che sappiamo, per certo, che ci farà del male, o – viceversa – quando fingiamo di ignorare una realtà, mentendo solo a noi stessi.

Sembra facile… Ma se lo fosse davvero?

Se la nostra infelicità fosse una condizione nella quale ci piace crogiolarci?

Se la smettessimo di dare potere a pensieri o persone deleteri?

E se iniziassimo a scardinare tutte le nostre credenze negative, le barriere, i pensieri limitanti, le convinzioni consolidate, per scoprire un mondo nuovo, diverso, che non possiamo neanche lontanamente immaginare?

Che poi, diciamocelo, io mi sono anche parecchio frantumata le ovaie di stare a pensare a gente che non mi pensa o che non me lo dice.

Di ripensare al passato, di rivivere ricordi brutti, di restare ancorata e stazionaria per la paura di agire, di evolvere, di crescere, perfino.

Di continuare a dare importanza a gente davvero poco importante.

Di autoimpormi dei limiti che sono stati creati e alimentati solo da me.

Quindi, perché farlo?

Ho compiuto ben due azioni che mai nella vita avrei pensato di riuscire a fare.

Potrei continuare questa scia di stravolgimenti, compiendo quella che tutti mi stanno suggerendo di fare, ma che continuo a ripetere di non poter riuscire a mettere in pratica: invitare a cena un uomo.

Potrei farlo.

Potremmo cenare insieme, io e te.

E poi brinderemo col Gin, ascoltando Rino , magari con uno smalto rosso.

(vabbè, adesso non esageriamo…)

2 risposte a "INTENZIONALMENTE INFELICI"

  1. Quanto è vero, quanto ci piace crogiolarci nelle nostre piccole convinzioni, quanto ci piace utilizzarle come scusa per la nostra infelicità, per la nostra immobilità. Stamattina sono stata dal parrucchiere, ho tolto quel ciuffo a destra che portavo da 15 anni. Non so se adesso sono un pò più felice, ma da stamattina non smetto di sorridere.
    Molto carino il tuo post.

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