FROM RED SEA WITH LOVE

Qualcuno diceva che “Nessun uomo è un’isola”, qualcun altro che è molto dura affrontare un viaggio in barca, poiché non se ne può scappare, e la convivenza potrebbe diventare insopportabile.

Ho cercato di esperire la veridicità di entrambe queste affermazioni…

La mia spiccata necessità di fuga e il mio onnipresente senso di costrizione sono stati sottoposti a dura prova, per la mancanza di vie di evasione.

Per poi scoprire che, volendo, si riesce a scappare anche in uno spazio delimitato… Ma ne avevo ancora voglia?

Perché io, al contrario, mi sono sempre considerata un’isola: sola, solitaria, scissa dal resto, strana, selvaggia, silenziosa e, per molti versi, inesplorata.

Non sarei dovuta neanche essere lì…

Ho una fobia per i progetti a lungo termine che mi aveva portato – come sempre – a non avere un piano ben definito su dove trascorrere i giorni di ferie.

Non riesco a prenotare a gennaio una vacanza da fare ad agosto. Non ce la faccio proprio, e non l’avevo fatto.

Quando mi sono finalmente decisa, non c’era posto, non era possibile. Ovviamente.

«Se qualcuno rinuncia, ti chiamo»

Sì, come no. E quando capita? A me, poi? Figuriamoci!

Invece quella chiamata è arrivata e, con essa, la mia crociera neanche lontanamente preventivata. Qualcuno aveva rinunciato.

…BB, c’è posto per te!

Quindi è vero che il destino, l’Universo o quel che volete, muovono le fila della nostra vita per riuscire a collocarci esattamente dove dovremmo essere, in un dato momento.

In un grandioso intreccio di esistenze dove, qualunque cosa ci accada, può avere ripercussioni dirette e indirette nelle vite altrui, che ne siamo consapevoli o no.

Che ne siamo coscienti o no.

Che lo vogliamo o no.

Come era successo a me.

Qualcuno non poteva partire e, perciò, io guadagnavo il mio posto.

E allora…

Metti una Barbie sul Mar Rosso.

Metti una lussuosa barca di 40 metri.

Metti una crociera alla scoperta dei fondali e della popolazione marina di tre isole incastonate nel meraviglioso Red Sea: Brothers, Daedalus ed Elphinstone.

Metti 20 Sub insieme.

Totalmente scollegati dal mondo, reale e virtuale. Lontani dalla terraferma e dalla comunicazione telefonica.

Isolati.

Esattamente come mi sentivo io in quei giorni: priva di legami, priva di fantasmi, di pensieri su personaggi impossibili. Libera, pulita, serena, come non mi capitava da tempo, forse mai.

E lontana…

In questo scenario si era stagliato un pensiero fisso verso un maschio sapiens. Prima appena percettibile, poi sempre più invadente.

“Signori, c’è una piccolissima attività cardiaca, questo cuore ancora funziona!”.

Nei giorni precedenti, c’era stata un leggero aumento del mio battito cardiaco, quel tanto che bastava per tranquillizzarmi sul funzionamento del mio cuoricino affaticato. Quel lieve pensiero che mi occupava la mente, tanto da insinuarsi nella regolarità del mio ritmo circadiano.

Quel pizzico di euforia che mi faceva canticchiare durante la giornata su “Quello che potremmo fare io e te non l’ho mai detto a nessuno, però ne sono sicuro…” e farmi ritrovare a sorridere senza un motivo apparente.

Evento comune e insignificante per chiunque altro, entusiasmante per me.

Mi piace. Cavolo, questo mi piace.

Tutti i giudici (amici comuni, gente super partes, persone fermate a caso, per strada) chiamati a rapporto per deliberare sull’intricata questione, avevano sentenziato che, sì, anche lui manifestava interesse.

Quindi questo mi assolveva dall’auto-accusa di essere una fantasiosa ottimista e regista dei miei film mentali a sfondo romantico.

Eppure…

Il tizio in questione aveva notizie della mia esistenza già da parecchio. Ma sembrava non aver mai manifestato l’intenzione di approfondirla, né allora, né ora. E non importava che quello stesso destino ci avesse posto vicino più e più volte, che ci mangiassimo con gli occhi e stuzzicassimo non poco.

Lui ci dà le carte, ma poi ce le giochiamo noi, e io mi sono stancata dei solitari.

In tutti i sensi.

“… No, aspettate. Si è fermato tutto di nuovo. Questo cuore non batte più”.

Mi piace sognare, ma vorrei vivere quel che desidero. E l’incertezza è uno stato che evito accuratamente. Quindi se ho di fronte un qualcosa di indefinito, lo definisco io, nel modo che più mi fa stare meglio.

Anche le isole hanno bisogno di compagnia, ma concreta, reale, vera e non illusoria.

Il tutto era avvenuto senza drammi, senza ferite all’ego, senza lacrime versate, spirato così come si era generato.

Come… come un’abitudine.

Ora sembrava tutto così lontano…

Forse è stato l’isolamento terreno e psicologico, o forse il fatto che avessi davvero bisogno di una vacanza, dopo un anno estremamente duro, sotto molti aspetti. Un anno fatto di un ostracismo autoimposto, e poi difeso, preservato.

Una  settimana ha spazzato via questo e tutto il brutto dell’ultimo periodo.

Mi sembrano episodi accaduti secoli fa, quando è passato appena un mese.

Piccoli problemi di salute, risolti, che mi hanno lasciato solo i chili persi, per via di quelli. E poi “A Settembre ci penseremo…” Sì, settembre è lontano…

E l’ultima – in ordine di tempo – fregatura da parte di chi consideravo amico che aveva speso per me delle parole tanto orribili, da tenermi sveglia la notte a pensarvi. Un AMICO.

Mi ero detta che non importava, che ormai alla merda e alle fregature ero abituata, realizzando – un secondo dopo averlo pensato – che non va bene, non va bene per niente abituarsi a questo.

Non va bene neanche sentirsi dire:

«Tanto dovevi fare da sola, no? Come sempre. Senza farti aiutare…»

Senza essere capace di rispondere che, sì, è vero. Faccio da sola come sempre. Perché, anche se non mi piace, sono avvezza a prendermi cura di me stessa. A non appoggiarmi a nessuno, a non chiedere. Che poi tanto mi deludono e abbandonano tutti, visto? Allora meglio non rischiare. Non mi piace farlo, ma ho dovuto imparare, capite?

Ma tutto questo non va bene.

Mi sono sentita dire concetti che non credevo nemmeno di essere arrivata a pensare, dissertazioni elogiative dello status di eremita sociale, formulare un entusiasta panegirico della solitudine con una convinzione che non ritenevo di provare.

Davvero mi sto beando in questa esistenza solitaria, convincendomi che sia preferibile, più sicura, più felice, senza possibilità di incorrere in delusioni?

Davvero ho messo di scherzare sul concetto e sono diventata un’individualista convinta? Io??

Ma QUANDO è successo?

Quando ho lasciato vincere la paura, a discapito della mia socialità?

La PAURA, origine e motivazione di ogni azione umana. Pensateci, è così…

Sono dovuta andare su tre isole, per capire che non va bene considerami un’isola, in una moltitudine di umanità conosciuta o da scovare.

Non andava bene per niente.

Vorrei abituarmi ad altro, DEVO e pretendo di abituarmi ad altro.

Siamo tutti isole che si barcamenano tra la salvaguardia della propria individualità, il perseguimento del proprio benessere, e l’esigenza di condividere la vita con altri esseri viventi, altre isole, altre autonome entità.

Ci destreggiamo tra il desiderio e la paura di oltrepassare la salvifica zona di comfort che abbiamo delimitato coi nostri bei paletti, in perenne contrasto tra “Quel che temo che accada” e “Quel che vorrei accadesse”.

Scegliendo quasi sempre la strada più sicura dell’inerzia.

Che fatica, gente.

Interagire, capire, sopportare, supportare, giustificarsi, aiutarsi, amarsi.

Ne vale la pena?

La vale davvero.

Per cui, mi ero ritrovata a osservare le stelle prima totalmente in solitudine, poi in compagnia, infine in gruppo.

E ne sono stata felice.

A cantare e ballare in massa, e ridere, ridere, ridere…

Benedicendo quel destino, per avermi fatto essere lì, in quel momento.

Un’isola tra le isole, ma non più isolata.

A sentirmi dare un affettuoso bacio sulla guancia e al mio «Perché?» sentirmi rispondere: «Così!»

Grata e appagata da quell’affetto gratuito, o forse meritato.

Quei gesti di gentilezza riscoperta che mi sono stati riservati, mi rimandavano a un’altra frase a me cara:

“Mi hanno piantato dentro così tanti coltelli che quando mi regalano un fiore,

all’inizio non capisco neanche cos’è. Ci vuole tempo”.

Tempo ce ne vuole sul serio, perché un’isola impari – innanzitutto – a considerarsi almeno un arcipelago. Una parte di un qualcosa. Ci vuole tempo.

Mentre qualcuno continuava a ripetermi che non ne avevamo abbastanza. Invece io penso che tempo ce ne sia, ma lo impieghiamo molto male, e del significato vero di Carpe Diem ce ne ricordiamo solo quando c’è da sciorinare locuzioni latine per fare i fighi.

Non andava bene che io mi fossi disabituata alla gentilezza, ma è ottimo che sappia ancora riconoscerla quando c’è e apprezzarla ancora di più, poiché inusuale.

Ma tutte queste sono cose che non si possono dire, che è difficile ammettere, che è meglio che gli altri ci considerino isole, strane, solitarie, che bastano a se stesse. Fa mooolto più figo.

Fa parte delle maschere che indossiamo.

Oltre quelle per aiutarci a vedere sott’acqua che – come vi ho già detto – ingrandiscono gli oggetti e non ci permettono una visione reale di quello in cui siamo immersi, ci sono quelle che indossiamo per evitare che gli altri vedano come realmente siamo.

Calziamo mute per preservarci dal freddo, computer per salvaguardare la nostra salute, e quando ci spogliamo di questi, manteniamo su le nostre maschere per proteggere il nostro Io più profondo e corazze invisibili ma palpabili. Un rivestimento a guisa di una muta.

Come c’è chi preferisce restare nelle acque basse, più sicure e superficiali, così, c’è chi ama scendere in profondità, inabissarsi sempre più giù, al limite delle proprie capacità.

Accade esattamente lo stesso con le conoscenze: c’è chi si ferma all’involucro e decreta, e chi – invece – riesce a scoprire quel che si cela dietro l’apparenza, dietro le maschere.

Una delle maschere più famose di tutti – per antonomasia – è quella di Pulcinella. Pulcinella che scherza sempre, ma scherzando dice la verità. 

Un po’ perché è più semplice, un po’ perché è l’alibi vigliacco che possiamo usare quando si mette male. La scusa del “Guarda che scherzavo, hai frainteso”.

E io lo faccio Pulcinella e ne vedo pure tanti. Mediocri attori dell’ilarità, protezione buffa di una sostanza ben più seria.

Oppure, si può apprendere ad esempio che – spesso – l’arroganza è la copertura della profonda insicurezza, che si può manifestare con la spavalderia, con il cercare di mettere in cattiva luce gli altri, per risultare migliori.

La paura, ve l’ho detto, è il motore di ogni azione.

Io la mia insicurezza la proteggo attraverso silenzi e discrezione, che mi porta a balbettare se parlo di fronte a una platea nutrita. Dove, per essere imbarazzante, mi basta che sia composta da circa tre persone.

Ma questo può essere percepito come una che “Non prende mai posizione” cito testualmente.

Ho sorriso.

Tu non sai chi sono io.

Ho sorriso di nuovo.

Perché poi c’è pure il perenne sorriso-spot, accompagnato dal “Va tutto bene!” che basta agli sguardi effimeri, per credere che sia davvero così. Ma sotto, chissà cosa cela…

Penso a chi, anni fa, mi aveva detto che con il mio sorriso (reale o sforzato che fosse) avevo il mondo ai miei piedi e io quel sorriso in giro per il mondo ce l’ho portato, non potendo fare a meno di notare, ogni volta, come la Me Vacanziera venisse più apprezzata della Me Quotidiana.

«Perché, quando viaggi, sei più rilassata» mi aveva detto una volta qualcuno.

Non credo c’entri questo.

Credo, piuttosto, che c’entrino gli squali

La memoria collettiva comune, formatasi coi film, ci ha sempre fatto pensare che gli squali siano creature pericolose, benché non avessimo mai avuto modo di verificarlo personalmente.

È un po’ come quando qualcuno ci parla di tizio/a che non conosciamo, e di quanto sia stronzo/a.

Il nostro giudizio è vergine di esperienza diretta, influenzabile. Con noi non lo è stato, ma automaticamente ai nostri occhi diventa stronzo per osmosi.

Poi, magari, ti ritrovi personalmente a parlarci con tizio/a e tutta questa stronzaggine non la percepisci, capendo quanto sia importante formarsi una propria opinione su fatti e persone e non “per sentito dire”, di quanto sia indispensabile ragionare con la propria testa e il proprio cuore, sempre e in ogni situazione.

In quanto agli squali, sono loro quelli con più timore: ne mandano uno in avanscoperta a controllare la situazione, se è tranquilla, il branco lo segue e si fanno la passeggiatina.

Io ho immaginato la scena più o meno così:

«Tutto a posto rega’. Ci sono i soliti quattro sub che si sono alzati alle cinque per venirci a vedere. Dài, famoli contenti e facciamogli ‘sta passerella!»

E così hanno fatto. Più volte. Si sono lasciati scrutare da noi che li abbiamo osservati con timore reverenziale e ossequioso di cotanta maestosità.

Forse se non avessero fatto film sanguinolenti che li vedevano protagonisti, ci saremmo tutti avvicinati di più, e avremmo raccontato di quanto siano coccolosi i re del mare.

Coi pesci pagliaccio avviene il contrario. Perché i pesci pagliaccio sono tanto piccoli e teneri d’aspetto, quanto bulli dentro. Si sentono grandi, forti e arroganti a dispetto della loro esigua mole.

Da grande voglio diventare un pesce pagliaccio e sentirmi coraggiosa e prepotente sempre, alla faccia di tutto e tutti.

Forse se non avessimo una memoria interna che registra e ci ricorda del dolore, vivremmo con più leggerezza.

Come quando nessuno ti conosce.

Perché magari in giro per il mondo, nessuno sa chi sono: non ci sono pregiudizi, non ho un passato, un presente ingombrante, una testa molto pensante ben nota ai più e che può incutere soggezione, come mi viene spesso detto.

Magari risiede in questo la differenza.

O magari, basta solo incontrare chi con uno sguardo e una chiacchierata riesce a capirti. Riesce a vederti dentro.

Capita.

Perché c’è speranza, Signori.

C’è sempre speranza.

Mentre tu sei lì a chiederti dove e se sbagli, a cercare di capire cosa tu trasmetta o no e se ti corrisponda, se il percepito sia abbastanza simile alla tua intima essenza, o ci siano degli errori di comunicazioni da correggere.

Mentre vorresti solo spiegare chi sei e fare domande, qualcuno in un attimo ti coglie appieno. Con due parole.

Qualcun altro, in un inglese sgangherato mi dice che io ero “kindly” e “respect”.

E poi c’è stato anche chi, non conoscendo nemmeno il mio nome, ha cercato il profilo Facebook di un mio amico, ha passato pazientemente in rassegna tutte le foto profilo dei sui contatti per scovarmi. E infine c’è riuscito.

Non so bene perché io abbia meritato una tale dedizione, ma mi ha ricordato l’ovvietà del “Chi vuole davvero trovarti, fa di tutto”. TUTTO.

Quindi, come potevo ancora incaponirmi col maschio sapiens che possedeva pure il mio numero di telefono, ma che non utilizzava? Non potevo proprio!

Le isole, effettivamente, sanno bastare a se stesse. Perciò si scelgono la compagnia.

Mentre scrivevo la bozza di questo articolo il mio telefono ha scelto dal lettore “Someone like you” come l’anno scorso, quando l’avevo cantata con due amiche ed era stato decisamente più divertente.

Stavolta, me l’ero cavata anche da sola, ma loro mi erano mancate.

Dormendo con un donnone ungherese che parlava solo francese e che aveva fatto della nudità il suo pigiama. Sicché quando di notte rientravo o mi giravo, mi ritrovavo in faccia il suo nobile deretano desnudo.  Che culo! (appunto)

Ma me la sono cavata, me la cavo sempre.

Ora sto cercando di imparare a cavarmela non più da sola, non bastando a me stessa.

Disabituandomi alle aspettative negative, ai paletti, al salvifico egoriferitismo nel quale ci rifugiamo.

Magari imparo davvero.

Quel che ho appreso è che non c’è bisogno di spiegarsi, non serve presentarsi. La volontà è un motore ben più potente della paura e più efficace, più immediato, con meno sforzi.

C’è speranza Signori.

C’è sempre speranza.

Dietro le maschere, dietro i pagliacci, i pregiudizi, la paura, dietro i “sentito dire”, dietro i difetti o i gusti differenti, c’è ancora chi intravede qualcosa in noi che valga la pena di scoprire.

Ci vuole tempo, ci vuole pazienza, ma accade.

Certe isole vanno scoperte. Il mondo che conosciamo sarebbe diverso se qualcuno non avesse avuto l’ardire e il coraggio di oltrepassare i confini della Terra conosciuta, per vedere cosa celassero.

Ci vuole coraggio per interagire, capire, sopportare, supportare, giustificarsi, aiutarsi, amarsi, conoscersi.

Ma ne vale la pena.

Perché, sapete, le isole hanno creato piattaforme per far atterrare gli aerei; levigato la costa per far attraccare le navi; smussato la spiaggia per accogliere i bagnanti. Messo in funzione il faro per farsi trovare. Abbassato le mura di protezione che le cingono per la piena interezza per far entrare qualcuno. Installato un telefono per farsi rintracciare.

Quindi, volendo, le isole sono raggiungibili: con il telefono, con la barca, con l’aereo, perfino a nuoto. Volendo.

VOLENDO.

 

 “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, la Terra ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te”.

John Donne

 

Ai miei compagni di questo viaggio,

alle picchiate a cinquanta metri,

le canzoni cantate, le tante risate e i balletti.

Grazie 😉

 

 

NdBB: Stavolta, non solo non ho portato con me nemmeno un paio di scarpe col tacco (neanche uno per compagnia!!) ma sono stata anche scalza per una settimana intera. Le cose cambiano, le persone pure.

 

 

“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, sono così triste…”

“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomestica”.

“Ah! scusa”, fece il piccolo principe.

Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:

“Che cosa vuol dire <addomesticare>?”

[…]

“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>…”

“Creare dei legami?”

“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.

[…]

E quando l’ora della partenza fu vicina:

“Ah!” disse la volpe, “… piangerò”.

“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”

“È vero”, disse la volpe.

“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.

“È certo”, disse la volpe.

“Ma allora che ci guadagni?”

“Ci guadagno”, disse la volpe.

[…]

“Addio”, disse.

“Addio”, disse la volpe.

“Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.

“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.

“È il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.

“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare.

Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”

“Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

Il Piccolo Principe

Antoine de Saint-Exupéry

 

Se volete scoprire le meraviglie del Mar Rosso, vi consiglio http://cassiopeiasafari.com/

SO COSA MI FARAI…

Recentemente ho appreso che la quasi totalità dei maschi adulti addita le donne over 30 (e, di conseguenza, anche 40 e oltre…) come “rovinate”. Dalla vita, dai precedenti rapporti, da ciò che volete e, di conseguenza, preferisce evitarle.

Questo spiegherebbe pure perché gli uomini di quell’età, cerchino le ventenni.

Ora, la rovina dovrebbe estendersi senza dubbio anche ai miei cari uomini, perché pure voi, a quell’età e non solo, non è che siate tutto ‘sto divertimento.

Alcuni tornano ragazzini, ma non essendolo più, ne risultano una patetica pantomima.

Vedi cinquantenni irretire adolescenti, millantando esperienza e cura per la femmina, difficilmente trovabile nei loro coetanei. Oppure li vedi sbavare spasmodicamente dietro qualsiasi gonna, cercando di recuperare il tempo perso, per incrementare il numero di tacche sulla spalliera, o per pura vendetta.

Perché alcuni sono incazzati – ma incazzati davvero – con le ex alle quali –nove volte su dieci – devono pure sborsare esosi mantenimenti. Hanno in piedi liti e diatribe che manco la Guerra dei Roses e tutti gli scenari che sono, purtroppo, entrati di diritto nella quotidianità delle relazioni del nuovo millennio.

Per tutti questi motivi, l’intera categoria femminile diventa un manipolo di zoccole, approfittatrici, ingrate e bastarde.

E allora: «Io mi devo divertire, se vuoi trombiamo e basta, non ti aspettare niente da me…»

Questo lo dico, giusto per pareggiare il conto su questi commenti e appellativi misogini e parecchio stronzi (scusate, sono rovinata e inacidita, quindi dovevate prevederlo) e, soprattutto, per farvi capire che ci siamo TUTTI rovinati col passare degli anni.

Tempo fa, scrissi un articolo intitolato “Chi viene dopo paga tutto il conto…” (lo trovate QUI). Nel quale, sostanzialmente, affermavo che l’ultimo che incontriamo paga per tutte le disastrose relazioni precedenti. E spesso, proprio a causa di queste, non le intraprendiamo neppure, perché troppo feriti o impauriti.

Oggi, non credo sia totalmente vero… 

Quel che ci lascia il passato, qualche anno in più e un cospicuo numero di tutt’altro che Principi e Principesse Azzurri, è l’esperienza e un’elevata capacità di discernimento.

Le precedenti relazioni ci insegnano, impariamo. Sappiamo cosa aspettarci.

L’abbiamo esperito a suon di notti insonni e lacrime versate, ma abbiamo finalmente appreso.

Abbiamo appreso i segnali, riconosciamo i gesti e interpretiamo correttamente le omissioni.

Riconosciamo le situazioni che ci potrebbero far male e le evitiamo subito e senza pentimento.

Se agisci così, so già cosa mi farai.

Qualche sera fa, un’amica mi chiedeva che fine avesse fatto il mio ultimo stalker.

«È sparito…»

«Sparitooo?? E tu che vuoi fare?»

«Io? Io niente…»

Magari, anni addietro, mi sarei annientata per la conquista del maschio, lo avrei chiamato e messaggiato io e avrei creduto ai vari: «Non sai quanto sono impegnato, non ho proprio il tempo di chiamarti o vederti…»

Mi sarei sciolta ad ogni messaggio di redenzione – con cadenza bisettimanale, quando va bene – e avrei assecondato le sue esigenze e i suoi impegni.

Un tempo lo avrei fatto. Anzi, purtroppo l’ho fatto e anche spesso.

Avrei accettato briciole anziché Pagnotte (leggi QUI).

Adesso ho capito che, se lui sparisce e non mi tampina a dovere, significa che non è molto interessato alla mia personcina, e probabilmente c’è un cospicuo gruppo di donzelle con le quali sta facendo il medesimo lavoro.

Partecipa anche tu alla grandiosa rotazione settimanale!

Lo capiamo subito, lo sappiamo. A noi donne rovinate – di certo – non manca la lungimiranza. Quindi scegliamo se continuare o meno, assolutamente consapevoli di quel che ci aspetterà.

Magari non sappiamo di preciso ciò che vogliamo, ma abbiamo piena consapevolezza di quel che, di sicuro, non vogliamo più.

E io sono giunta ad un punto della mia vita in cui, se non posso fare la differenza, non mi interessa fare “numero”.

Semplice.

Se sei impegnato e mi chiedi di uscire, ti dico di no, senza nemmeno considerarlo.

Frasi tipo: “Siamo come fratello e sorella, dormo sul divano” l’ho sentito talmente tante volte, che dovremmo iniziare a preoccuparci seriamente del dilagante fenomeno dell’incesto.

“Ti prego dammi una possibilità, la storia è finita”.

No. Finisci la storia, riprenditi e forse poi ne parliamo.

“Tu sei diversa, tu sei speciale…”

Vero. Per questo tengo a me, tanto da sfuggirti.

L’esperienza ci ha insegnato che tanto mogli e fidanzate non le lasciate mai, quindi perché dovremmo complicarci la vita e iniziare un qualcosa che può solo nuocerci?

Non ci fanno squagliare le belle parole, se non seguite dai fatti; non ci incantate, non ci fregate, perché abbiamo imparato a fregarcene noi.

Utilizziamo un rasoio di Ockham sentimentale affilato da anni di giustificazioni dell’ingiustificabile; studi accurati; sofisticate elucubrazioni mentali; illusioni svanite; dietrologia dell’sms e della parola; dinamica del comportamento.

Se qualcosa in noi si è rovinato, è il tempo. Ma non, come sostiene il pensiero comune, perché rintronate dal ticchettio dell’orologio biologico, assolutamente. Abbiamo capito che non va sprecato. E se, in passato, lo abbiamo fatto tante e tante volte, non possiamo purtroppo più recuperarlo, ma abbiamo deciso di non sperperarlo ulteriormente. Quindi non aspettiamo più: telefonate, gesti, messaggi, miracoli.

Abbiamo appurato che nulla va elemosinato né il tempo, né la compagnia, né l’amore.

Magari non sappiamo di preciso ciò che vogliamo, ma abbiamo piena consapevolezza di quel che, di sicuro, non vogliamo più.

Ma speriamo, sempre!

Forse siamo prevenute, ve lo concedo, ma sapete meglio di me che nessuna donna è inconquistabile.

Allora restituitecelo quel tempo, dedicatecelo.

Se ci tenete davvero. Se no, continuate a fare ciò che già fate e saremo noi a riprendercelo, allontanandovi.

Scusate, ma siamo acide e rovinate e dobbiamo avere cura di noi stesse.

Se è terribile e non sopportiamo la generalizzazione (ma scrivendo un articolo è doveroso farla…) è altresì inconfutabile che alcuni comportamenti siano universali e univoci.

O no?

Non siete d’accordo? Avete effettivamente degli impedimenti? Vi siete pentiti di quanto detto? Avete sul serio paura?

E vi infastidisce che vi abbiamo subito etichettati?

E allora ditecelo!

Stupiteci, fatecelo capire perché – a volte – noi non ci arriviamo proprio. Magari siamo troppo paranoiche, ma, abbiamo imparato che difficilmente sbagliamo su certe questioni.

Smentiteci, non vediamo l’ora di esserlo, credetemi.

Pensate meno di noi e agite, pure la vostra di incazzatura ci fa paura. Temiamo di pagare colpe che non abbiamo commesso noi.

Teneteci!

Quando tutte le lacrime e le batoste hanno tessuto un velo di disincanto intorno al nostro cuore, ci vuole pazienza, tanta pazienza. Quella che ha solo chi vuole veramente. Quella che noi, ormai, non vediamo più da secoli e crediamo estinta.

Perciò, spesso, anziché goderci il momento, rimaniamo in attesa del palesarsi della fregatura. Perché tanto ci sarà, per forza.

Dimostrateci che sbagliamo.

Fate seguire i fatti alle parole, alle promesse, che siano quella di chiamarci più tardi, o di vederci quel dato giorno.

Che siate uomini o donne – quando ci tenete – siate CHI fa e dice; CHI fa quel che dice; CHI è presente; CHI telefona; CHI si interessa; CHI dimostra di tenerci davvero e non che dichiara semplicemente di farlo. CHI fa la differenza tra il numero.

Altrimenti qualcosa la faremo noi.
Sfanculare, per esempio.
Se mettere sempre prima il nostro benessere, rispetto a una vacua illusione; se non tollerare di essere trattate come ragazzine, perché ragazzine lo siamo già state e desideriamo rapportarci come Donne, o Uomini adulti; se abbiamo imparato a volerci così bene, da allontanare subito chi non ce ne vuole; se rispettiamo noi stesse tanto da esigere rispetto sempre e comunque; se tutto questo fa di noi delle donne “rovinate”, o ci rende ai vostri occhi acide, io sono felice che il mondo se ne sia popolato.

Perché, secondo me, una donna si rovina e si distrugge davvero quando non compie tutte queste azioni, il che significa che non si ama per niente.

E mi dispiace molto che questo arrivi dopo i 30 o oltre. Con una maturità e consapevolezza che acquisiamo col tempo e col tempo che abbiamo sprecato e che non ci verrà mai restituito.

Mi dispiace davvero.

Di essere diventata una donna cosciente, cauta, accorta, semplificatrice, egoista, intelligente, e pure acida e rovinata, di quello, no. Non mi dispiacerò MAI.

Alle mie Donne e Uomini rovinosamente belli…

DONNE CHE ODIANO LE DONNE…

Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani un libro intitolato “Donne che odiano le donne”. Ho dato un’occhiata alla descrizione, ho sorriso e l’ho chiuso. Non lo leggerò mai. “Le prime nemiche delle donne sono le donne” è tristemente vero e non voglio leggere un testo che me lo confermi.
Diciamoci la verità: dagli uomini certe meschinità ce le aspettiamo, dalle altre donne quasi mai. Da donne che dicono di volerti bene, decisamente no. Eppure capita molto, molto spesso… Nessun uomo, per quanto cattivo, potrà mai raggiungere la perfidia di una donna. Quella stessa perfidia che troppo frequentemente viene indirizzata verso altre fanciulle: invidie, gelosie, ripicche… Quanta energia sprecata! Ci saranno sempre donne più belle e più intelligenti di noi, ma è vero anche il contrario, per fortuna! Perché farsi una guerra inutile, continua, alimentata dall’insicurezza, piuttosto che allearci e aiutarci l’una con l’altra?
Le sorellastre erano donne, le matrigne cattive pure, anche nelle favole più belle risiede la mesta consapevolezza che sul tuo cammino incontrerai molte streghe. Allora cerchiamo di avere cura delle nostre fate. Alcune sono sempre al nostro fianco, altre a chilometri di distanza, altre ancora sono presenti da anni ma magari non costantemente, ma ci va bene così e alcune hanno arricchito da poco la nostra esistenza.
Le nostre amiche ci ricordano che non siamo sole, MAI. Certi uomini sono di passaggio, le donne della nostra vita sono PER SEMPRE. Non dimentichiamolo. Un appuntamento non ha importanza se non puoi chiedere consiglio su cosa indossare, un pianto non è lo stesso se non c’è nessuno che ti abbraccia, un problema fa meno paura se viene condiviso e una bella notizia non è tale se non hai delle amiche cui raccontarla. Ricordiamolo, tutti i giorni.
Siate sorelle, siate buone e amatevi tanto, vi siete scelte PER SEMPRE.
È un periodo particolare, ma non voglio dimenticarmi di voi. A voi e alle donne della mia VITA, tutti i giorni…
BBxx

IL LATENTE “VAFFANCULO”!

Oggi sono alle prese davvero con un gran bel dilemma: ma la gente che ci ferisce merita di essere mandata palesemente affanculo, o è preferibile riservarle solo la nostra indifferenza?

Dobbiamo avere la soddisfazione, almeno, di sfanculare chi ci fa del male? O questi non sono degni neanche che diamo loro questa soddisfazione e questa importanza?!vaffanculo

Ci fa stare davvero meglio urlare in faccia a questi stronzi/e un grandioso «VAFFANCULO!»?

Una parola, molteplici significati:

spesso si usa per “giocare”, accompagnata da un sorriso. Qui invece parlo proprio del “Vaffanculo” quello serio, quello detto a brutto muso, spesso associato al dito medio, ma – più frequentemente – al braccio alzato dal basso verso l’alto per indicare la direzione da seguire.

Quanto è liberatorio dirlo?

Quando ero più piccola ero molto più istintiva ed irruenta e non ho mai fatto mancare i miei insulti a coloro che pensavo li meritassero. Col tempo mi sono ridimensionata e non lo spreco ad inveire contro gente di poco valore.

«…e tu a quel punto, cosa hai fatto?»

«Nulla…»

«Come nulla?? Io me lo/a sarei mangiato/a!!»hqdefault

Me lo sento dire molto, molto spesso…

Perché ora attuo la politica del “Latente Vaffanculo”, ovvero indifferenza e cambio d’atteggiamento. Quando possibile, sparisco totalmente, non ti cerco, non ti chiamo, non ti scrivo, senza dare spiegazioni. Quando non lo è, di sicuro si può notare una gelida freddezza nei confronti di costoro. 

I motivi sono molto semplici: se mi rendo conto che la meschinità è stata involontaria, me ne scordo immediatamente. Quindi, si rivela un bene il fatto che non mi sia prodotta subito in improperi!

Se, viceversa, è stata intenzionale – mi devo ripetere – ma non mi occorre sapere nient’altro. Quindi un vaffa non riuscirà a lenire la mia delusione. Ho sbagliato, nuovamente, a giudicare qualcuno, ma urlargli contro non cambierà il fatto che costui, o costei, non è per niente all’altezza delle mie aspettative e, anzi, mi ha ferita sapendo di farlo.

Di fronte a queste cose, quello che mi chiedo sempre è: «Che bisogno c’è?» Sul serio, non lo capisco. Non riesco a comprendere perché alcuni individui attuino coscientemente dei comportamenti ingannevoli e credo che non lo capirò mai.

Ma, allo stesso modo, “Che bisogno c’è” che io umili me stessa per cercare uno/a stronzo/a doloso/a e dirgli che sto male per dei suoi atteggiamenti? Nessuno, penso.vaffa

Eppure, poco tempo fa, l’ho fatto… Sono andata a citofonare ad uno per insultarlo. (Pure io ogni tanto sbrocco di brutto…) Ma, onestamente, non so dirvi se mi abbia fatto davvero bene.

Se ci penso, rido, ovvio. Però mi sono sentita anche parecchio patetica, lo ammetto. Non solo questo si era comportato di m – ma di M maiuscola – poi io mi sono presa pure la briga di farmi svariati chilometri per prenderlo a parolacce e fargli sapere quanto fossi rimasta male. Non so davvero se ho fatto bene o no…

Invece, un’altra volta,  sono scesa da una macchina sbattendo la portiera e accompagnando il gesto da un poderoso, carnale ed epocale: «Mavvaffanculooovaaa!» quello, in effetti, mi fece stare meglio. Però lo covavo da un po’.

Allora è davvero lecito e liberatorio esternarlo se si è arrivati al limite e non si trovano altre parole per esprimere quello che sentiamo?

Non saprei.

Perciò, nel dubbio, continuerò a praticare il “Latente Vaffanculo”.

Naturalmente questo avviene quando non ci tengo a ristabilire un qualsivoglia tipo di rapporto, se l’offesa è stata particolarmente grave da non ammettere condoni, o se il comportamento scorretto è stato reiterato tanto da farmi perdere completamente la stima in quella data persona: hai chiuso, per me non esisti più e non voglio neanche sprecare parole a spiegarti perché.

E il fatto che NESSUNO  degli sfanculati latentemente sia mai venuto a chiedermi cosa fosse successo, mi fa pensare che, appunto, le condotte siano consapevoli, anche – e soprattutto – delle conseguenze.

Ma se fosse vera la teoria seconda la quale agli uomini le cose bisogna dirle in maniera più che dettagliata perché sono proprio de coccio e non capiscono, (anche se, ripeto, se uno si comporta male, per me se ne rende conto, eccome…) allora ho sbagliato tutto.

Forse esiste qualcuno che non ne è consapevole? Forse era una provocazione che non ho saputo, né voluto cogliere? Forse è davvero salutare dirlo…

Allora presumo che ci sia molta gente che aspettava almeno un mio bel vaffa. Perdonatemi, occorre che rimedi:

A chi è sparito, a chi ha promesso e non mantenuto, a chi mi ha preso in giro, a chi si è “scordato” di me, alle finte amiche che hanno vomitato parole,d249477aacce63be43ab7a4726880a07

Vi giunga il mio più sentito, profondo, immenso e cordiale

MAVATTENAFFANCULOOO!!!

Perché forse ha ragione la mia amica:

«È meglio un vaffanculo detto che uno represso!»

Prometto che, in futuro, non ve li farò mancare MAI…

 

Grazie alle mie consigliere

e fiere praticanti del “Palese Vaffanculo”! 🙂

L’AVVELENATA

«Cara, carissima BB,

 come ti ho accennato ho letto e riletto l’articolo di ieri. Stampato, sottolineato. Preso tempo per risponderti, per trovare il tempo giusto per farlo. Non ho mai letto “alla leggera” i tuoi articoli, quindi non volevo certo iniziare ora. Né intendo farlo mai.

Allora…. Che dire. Prima di tutto: hai trovato il modo di capovolgere al meglio una delle situazioni più misere che il cv di una donna possa contenere: ne hai scritto, hai tirato fuori quel sasso che nella scarpa (tacco 12, soprattutto…) proprio non si può tenere, se si vuole continuare a camminare e andare verso qualcosa. E farlo sorridendo.

Ho provato le stesse sensazioni di quando lessi alcune pagine del tuo libro. Un misto di ammirazione per il coraggio che hai di metterti in gioco davanti un foglio bianco, di soddisfazione nel leggere un testo così intensamente ricercato (nel senso dell’uso delle parole) in cui ogni vocabolo è frutto di una scelta attenta e consapevole. Tu arrivi decisa a chi legge. Ogni parola è quella. Cercata, voluta. E ciò nel complesso si capisce… eccome se si capisce. Infine, un po’ di rabbia nel leggere che proprio a te capitino queste cose e che pur se molto diverse da quelle che può vivere un uomo, lasciano poi di base la stessa eredità psico-emozionale. 

Il pezzo è più che un articolo e, a chi legge, risulta una vera e propria pagina di diario. Essendo la tua non una rubrica nel senso tradizionale o convenzionale del termine, bensì uno spazio “tuo” (nel senso di “proprio”) il pezzo ci sta molto bene. Se Barbie Bastarda è in forma e ha voglia di prendere in giro il mondo che lo faccia. Se Barbie Bastarda è triste e ha il coraggio di scriverlo è giusto che lo faccia! (soprattutto se questo la fa stare meglio!). Inoltre credo che il pezzo sia molto “emozionale”, molto femminile e che il suo pubblico lo troverebbe proprio. Credo che il metro per pubblicare un articolo in realtà debba essere sempre uno e uno soltanto: se ciò che hai scritto ti ha fatto stare meglio, allora va pubblicato. Perché molto probabilmente farà star bene anche gli altri. E questo a te, credimi, riesce benissimo.

 “Non permetterò più a nessuno di farmi sentire sbagliata. Non permettete a nessuno di farvi sentire sbagliati”. I.Santacroce. Ieri, status Facebook».

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Non sono le quattro del mattino, non c’è né angoscia né un po’ di vino, sono sobria, libera, sveglia e lucidamente incazzata. Barbie Bastarda è triste, ha il coraggio di ammetterlo e di scriverne ed è giusto che lo faccia, come hai detto tu. In questi ultimi mesi ho letto e riletto questa mail, l’ho analizzata, consumata e, mentre lo facevo, sempre le solite domande nella testa: «Ma perché?» E, soprattutto: «Ma come si fa?»

Ti ricordi quante volte lo abbiamo detto? «Ma come si fa?» Di fronte alle meschinità gratuite, a comportamenti vigliacchi e perfidi, ce lo chiedevamo sempre: «Ma come si fa ad essere così? A comportarsi così?» Era sempre la nostra domanda. Non ci arrivi, sai. Se non sei geneticamente bastardo, infame e stronzo, non ci arrivi a capire certe azioni “umane”, è questo il problema. Devi incassare, accettare e basta. Ti torturi, certo, ti torturerai sempre. «Ho fatto qualcosa di sbagliato? Capita sempre così! Che cos’ho che non va?» Ma, alla fine, capirai che non sei stato tu a generare certe condotte schifose.  Quelli come noi – scusa – quelli come ME, con queste torture ci convivono da sempre. Tu lo sai bene. Conosci gran parte degli episodi indegni che ho dovuto subire, molti dei loschi personaggi che hanno attraversato la mia vita e tutte le risate dissacranti che mi facevo mentre ti raccontavo le mie disavventure. Lì sì c’era un po’ di vino, innumerevoli calici che accompagnavano le nostre confidenze. Barbie Bastarda nasce da qui: dalla vita vera, dall’ironia usata per esorcizzare la dura realtà, dalla perenne sensazione di essere“vasi di coccio tra vasi di ferro” e dalla voglia di non mollare mai, comunque e nonostante tutto.

Alla fine concludevamo sempre le nostre torture con un’amara consolazione: «Per fortuna noi non siamo così!» Già. Per fortuna noi siamo brave persone. Limpide, vere, oneste e trasparenti. Scusa, SONO.

«… un po’ di rabbia nel leggere che proprio a te capitino queste cose». Non sai le risate bagnate che mi sono fatta leggendo questa tua frase, alla luce dei fatti recenti. Ho riso davvero fino alle lacrime…

È impensabile per tutti quello che hai fatto, lo sai? È inconcepibile per tutti che tu l’abbia fatto soprattutto a ME e per me. Se dovessi descrivere come mi sento, potrei solo dire che mi vergogno per te. E non riesco ancora a credere che sia successo davvero, che tu viva la tua vita senza problemi, che non abbia la necessità di sentirci, né di dare spiegazioni, coltivando solo indifferenza nei nostri confronti. Ma chi sei? Chi eri? Chi era quello che conoscevo?

Chiudo e sigillo porte, sono brava in questo, lo sai. Non ho più voluto parlare di te e mi irrita quando qualcuno ti nomina.

Sai che adoro i soprannomi, quindi ora, se devo menzionarti, per me sei solo il “TDC”, il “PDM”, a volte “quella cara persona”, o semplicemente “Lo Stronzo”. Non voglio sentire neanche più il tuo nome.

Questo non è uno dei “momenti TILT di BB” che ben conosci. Li ho avuti, certo, ma non ho agito. Avrei voluto venire sotto casa tua e dare sfogo a tutta la mia rabbia. Sarebbe stato davvero un’azione perfettamente nel mio stile e, forse, conoscendomi, sei anche rimasto stupito che non l’abbia fatto. Credimi, lo sono anch’io.

Penso che in ognuno di noi – e Barbie Bastarda lo rappresenta in pieno – alberghino due anime ben distinte: una più istintiva, passionale, governata dai sentimenti e dalle pulsioni. L’altra più fredda, distaccata, che applica il raziocinio per tenere a bada il cuore e, molto spesso, sopravvivere. La maggior parte delle volte io faccio vincere la seconda e il motivo è semplicissimo: mi chiedo «Perché? Tanto è inutile…» Ci dovrebbe far sentire meglio urlare, sbraitare contro chi ci fa del male, vendicarci, ma non sempre è così. E serve a molto poco. Perché urlare contro una persona che dimostra, con i fatti, di non tenere a te? A cosa servirebbe farlo? È semplice: chi ti vuole davvero bene, non compie ai tuoi danni azioni meschine, né ti lascia appeso ad aspettare. È semplice. E, quando questo succede, io ormai, semplicemente, prendo atto. E prendo le distanze. Chiudo e sigillo porte, sono brava in questo, lo sai e faccio sempre quello che dico: non ti cercherò mai più. Non è per arroganza, né per superbia, presunzione ed orgoglio, ma c’è una la linea sottile tra orgoglio e Amor proprio e se il primo è deleterio, il secondo è necessario.

Non ho avuto problemi di orgoglio a cercarti, invano, ripetutamente. Non li ho mai, se ci tengo. E, più ci tengo, più ti cerco. Viviamo nell’era dell’ipercomunicazione: abbiamo smartphone, svariate mail, Facebook, Whatsapp, chiunque può ricercarti, se lo vuole. SE LO VUOLE. Alcune volte mi mancano certe persone, allora scrivo loro, anche con una scusa banale. Ma poi aspetto… Se non ricevo mai un «Come stai?» Vuol dire che io non manco a loro, che loro non sentono la necessità di avere mie notizie. È semplice.  Sposo la vecchia filosofia secondo la quale non bisogna mai supplicare le persone di accoglierti e tenerti nella loro vita. Me lo dicevi anche tu, quando cercavi invano di instillarmi un briciolo di autostima e Amor proprio. «BB tu sei fantastica, chiunque dovrebbe ritenersi fortunatissimo di averti nella sua vita». Lo sai? Ora lo penso anch’io…

In teoria, questo discorso fila liscio e perfetto, nella pratica è stata dura, durissima e lo è ancora. Mi sono preoccupata, tanto. Ti ho giustificato finché ho potuto, perché non riuscivo ad accettare che tutte quelle azioni provenissero da te.

E, sopra ogni altra cosa, non accetto il tuo maledetto silenzio e che tu non senta il desiderio di parlare con me. Forse è il mio amor proprio ferito, perché credo debba nascerti spontaneamente la voglia di sentirmi.

La mia bimba interiore perennemente insicura, crede che, in tutti questi anni, non ti abbia lasciato niente, visto che in un attimo hai fatto a meno di noi due come se nulla fosse. Questo pensiero mi devasta. Come si fa, se vuoi bene a una persona? Come si fa? È questo che mi ferisce di più: ormai non credo che il tuo affetto per me fosse sincero. Non posso proprio più crederlo tale. E fa male, tanto.

Ogni volta che vedo quella maledetta schermata – che hai avuto anche cura di reimpostare, il che dimostra che sei vivo, vegeto e coscientemente meschino – provo un dolore indescrivibile.

Dalla tua ultima “bassezza” – ultima di una lunga serie – non ho più scritto. Come ben sai, non mi va di scrivere nei momenti down: «No, evitiamo, che poi divento troppo “Barbie triste” e non mi piace!!». Ero troppo amareggiata per farlo. Ho pensato lungamente ai miei infiniti articoli in “bozza” che non avrebbero mai visto la luce della pubblicazione. A uno in particolare, lungo VENTICINQUE pagine, che mi aveva assorbito ogni energia e pensiero e fatta ancor più innamorare della meraviglia della scrittura. Il mio articolo perfetto, ricercato, curato, nutrito e adorato, che non ho più voluto aprire, tanta era la mia amarezza. Più di ogni altra cosa, era questo che non riuscivo a sopportare. Tutti i miei lavori, i nostri lavori, andati persi. La mia passione distrutta dalla tristezza, i “cattivi” che, ancora una volta vincono e restano impuniti. Non potevo sopportarlo.  Allora mi sono rialzata e ho costruito una nuova strada, “Per ogni fine c’è un nuovo inizio…” come dice il nostro amato Principe.

Ma, per ricominciare davvero, avevo bisogno di mettere un punto, per me stessa. Questo è il primo pezzo che scrivo dopo tutto lo schifo che ci hai fatto subire.

Lo sai, alla fine, ho sempre bisogno di sfogarmi, di liberarmi. La razionalità mi abbandona e poi avevi ragione: certi sassolini non riesco a tenerli nel mio tacco dodici, mi impediscono di rialzarmi e di camminare spedita.

Poi mi dà fastidio covare rancore, mi intristisce, mi abbrutisce e mi inquina. È davvero un veleno e non voglio portarlo con me. Riverso tutto il mio astio in queste parole, così mi libero. E le regalo a te. In fondo sono  state generate da te, quindi è giusto che sia tu a conservarle e custodirle. Lascio tutto scritto qui. Ora mi sono liberata e posso continuare il mio cammino. Ti sarò sempre grata per avermi dato l’opportunità di conoscere persone stupende e per aver creduto in me, anche se non fino in fondo.

Non ti odio, l’odio è un sentimento impegnativo come l’Amore e non mi sento di provarlo per nessuno.

Non ti auguro il bene perché non sono un’ascetica  santa, ma non ti auguro neanche il male. Primo perché non ne sono capace in assoluto e con nessuno e poi perché sei TU. Nonostante tutto. Ti riservo solo indifferenza. La stessa che tu hai usato con noi, con ME. E forse capirai quanto faccia male. Anche se ormai non so più chi sei e cosa sei ancora in grado di provare. E, quando tornerai – perché tu sai che da me tornano sempre tutti e tu non farai eccezione – non so quale anima troverai ad accoglierti. Sono curiosa anche io di scoprirlo.

Ho chiuso un’altra porta, ho una nuova crepa nel cuore. Mi ripeto costantemente: «Passerà, passa tutto…» e lo credo davvero. Sono acciaccata, ma la mia Luce stavolta non mi ha abbandonata.  Devo dire che, alla fine, hai fatto un buon lavoro: ormai sono conscia del mio valore e non consento al giudizio e al comportamento altrui di offuscare la mia neoconosciuta autostima. Grazie, per avermelo fatto capire.

Continuo ad essere un vaso di coccio tra vasi di ferro, continuo a torturarmi per i comportamenti altrui, a piangere per ogni sciocchezza e a riderne un secondo dopo, continuo a tenermi per me dei «Mi manchi», perché vorrei sentirli, ma sono anche quella che chiude e sigilla porte senza guardarsi indietro.

Sai? Non mi vergogno più di essere così. Sono questa: qualche pregio, innumerevoli difetti, ma mi sento PULITA. Non mi interessa più il «Ma come si fa?» Mi interessa solo che, ogni volta che mi guardo allo specchio, mi sorrido pensando: «Per fortuna io non sono così…»

Ciò che ho scritto mi ha fatto stare meglio, quindi è giusto pubblicarlo, come hai detto tu.

Con affetto andato a male e stima scaduta,

Non più Tua, non più avvelenata e rinata, Barbie Bastarda.

«…Non permetterò più a nessuno di farmi sentire sbagliata…»

  

«…parlavano di stile, di impegno e di valori,ma non appena hai smesso di essere utile per loro eran già lontani, la lingua avvicinata a un altro culo. E allora avanti un altro, almeno chiedi scusa del disturbo…»

Ligabue

 

«Ho messo campanelli alle porte
caso mai dovessi tornare mentre dormo.
Ho messo campanelli alle finestre
caso mai da lì tu dovessi entrare
– potrei non accorgermene.
Ho messo tagliole negli angoli
nel caso tu volessi tornare
ma con cattive intenzioni,
nel caso tu volessi dirmi
che non è più tempo di sogni.
Ho messo tagliole,
e campanelli su tutte le porte… »

D. D’Angelo.

 A Katya, Tony, Marianna, Marty, Manu, Lidia, Cristina, Dalila e Giovanni.

Noi sì che siamo “La grande Famiggghia”…

SONO UNA VIGLIACCA…

È inevitabile che, avvicinandosi la fine dell’anno, si tenda a fare un’analisi dell’andamento degli ultimi dodici mesi. Mi sento sempre in credito nei confronti dell’Universo, ma quest’anno ho una certezza da affrontare: sono una vigliacca.filosofo-tuttacronaca

Se analizzo i miei comportamenti, pensieri, parole, opere e omissioni, la conclusione è sempre questa: sono una vigliacca.

Ho mollato. Sono sprofondata in un abisso nero nel quale mi sono cullata per mesi perché sono una vigliacca e ho smesso di lottare. Tanti hanno preferito non vedere, altri troppo egocentrici o superficiali per farlo.

Mani tese verso di me per afferrarmi, due, forse tre, non di più. Mani che ho provato perfino a cacciare, perché sono una vigliacca, volevo crogiolarmi nelle mie debolezze e non volevo essere salvata. Mani protese a chiedere, sempre molte… Sono stanca. Davvero. Ho eliminato altre persone dalla mia vita, tante.

Molte pensano che io sia la più stronza del mondo e mi va benissimo così. Perdonatemi,  non lo ero, mi ci hanno fatto diventare e ora mi adagio in questo mio nuovo ruolo, perché sono una vigliacca e ho smesso di chiedere e dare spiegazioni. Ho imparato che chi mi vuole davvero bene mi ama anche così, degli altri non me ne frega proprio più niente. Non ho più la voglia di comprendere sempre e ascoltare chi mai lo fa. Non mi interessa sentire lamentele continue. Non è gradito chi c’è “perché o finché non trova di meglio”. Chi porta solo nevrosi perché ho già le mie e vi assicuro che bastano. Chi parla solo e di fatti ne fa pochi. Chi cambia comportamento a seconda dell’interlocutore, chi si dimentica di te se non gli servi più.

Chi vuole esserci è ben accetto. La porta è sempre aperta, sia per entrare che per uscire. Ma non si richiedono né si fanno preghiere di nessun tipo. Così è. Amen. La mia vigliaccheria si esplica, così, nell’intolleranza. Non tollero più, elimino e basta. È più facile e, ormai, scelgo la via in discesa, perché sono una vigliacca.

Resto fedele alle etichette che mi sono affibbiata, piuttosto di provare a vedere se posso diventare altro. «Sono così». Punto.  Ho posto barriere, paletti, costruito un recinto di convinzioni nel quale pascolo insieme ai miei pensieri che non confido a nessuno.

Fingo indifferenza invece di puntare i piedi e alzare la voce. Nascondo i miei sentimenti, invece di provare a esternarli. Sono una vigliacca, perché ho scelto di tacere invece di parlare.

«Certe parole, a pronunciarle, suonano male, per questo non le diciamo» non ricordo dove l’ho sentito, ma sono assolutamente d’accordo. Certe cose non si possono proprio dire. Se sei una vigliacca, poi, non le pronuncerai mai.95561 ed

Le frasi composte da tre parole sono le più difficili. Tre parole, tremila paranoie…  “Tu mi piaci, Ti voglio bene, Io Ti Amo, A me dispiace,  Tu mi manchi, Io sono felice, Tu sei speciale…” La più difficile, perché si ammette la propria debolezza, è: Io ho paura. Ho paura di tutto, ho paura di essere giudicata, additata, non compresa, di non essere perfetta, all’altezza, ho paura di essere felice, ho paura di TE… Come si fa a dire una cosa simile? A investire una persona di una tale responsabilità e, allo stesso tempo, soddisfazione? Tu sei importante. Io sono ferita. E ho talmente tanti mostri nella testa, che ho paura di mostrare a chiunque, che, ormai, ho preferito nutrire loro piuttosto che le mie speranza perché sono una vigliacca che ha paura.

“Io ti ringrazio”. Mi sono tenuta per me anche questo. Avrei dovuto e avrei voluto dirlo a un’anima gentile che è arrivata inaspettatamente nella mia vita, donandomi delle risposte a delle domande che, ovviamente, non le avevo mai posto.

Ma non ho detto niente e l’ho lasciata andare perché “sono una vigliacca” e un giorno magari mi pentirò di tutto quello che non ho detto, ma, ora, ho paura e ho deciso di coltivare lei, piuttosto che vivere.

Penso che, se fossi stata un pochino più coraggiosa, non sarei ora qui a scrivere.

Sono sprofondata in un abisso nero e mi sono detta che, ormai, era l’unico posto in cui potevo rimanere. Perché sono una vigliacca e non avevo più voglia di combattere. Sono stanca. A volte bisogna capire quando è giusto mollare. Ho mollato. La mia vigliaccheria mi ha coccolata e custodita nel buio, raccontandomi che era inevitabile e che sarei stata finalmente al sicuro. Le ho creduto. Lottare, per cosa? Sperare, ancora? Basta, sono stanca. Sono rimasta in un abisso nero, circondata da muri di certezze, spettri e incubi tutti costruiti e alimentati da me. Sono una vigliacca, ho preferito smettere di sognare e ho spento la Luce. Sono rimasta nel buio per mesi, ma non riuscivo più a tollerare l’oscurità e non avevo più la forza di anelare alla Luce.311210_savanna_-lvica_-oxota_1920x1200_(www.GdeFon.ru) ed

Penso che, se fossi stata un pochino più coraggiosa, non sarei ora qui a scrivere.

Ma sono una vigliacca. Per fortuna…

 

“Tanto più resistente è la corazza, 

tanto più fragile è l’anima che la indossa”.

Edvania Paes

 

Dedicato a chi mi ha detto «Ho paura di essere felice,

perché ho smesso di credere alla felicità…»

E al coraggio di essere felici tutti i giorni…

Prima pubblicazione: 30.12.2014

MIOPIA FEMMINILE

Tempo fa lessi su un libro una frase che recitava più o meno così:

«La donna sviluppa un punto di vista MIOPE, secondo il quale quello che viene dato dall’uomo è di vitale importanza, tanto che se l’uomo non le dà ciò che vuole, lei si sente inutile e svuotata e si attacca, ancora di più, a lui (o all’idea di lui) attuando un circolo vizioso».

(Azz c’ha preso in pieno! No! Nego, nego, assolutamente nego!)

Che vuol dire? Che quando ci batte il cuore, la nostra vista e il nostro giudizio obiettivo si annebbiano. Facciamo dipendere la nostra felicità dai comportamenti altrui e tendiamo a vederci con gli occhi di lui. Perciò se costui disattende le nostre aspettative, ci convinciamo che sia per un problema o una carenza nostri. Non solo… Tante volte questo non ci permette nemmeno di vedere bene CHI abbiamo davanti, perché, signore mie, gli uomini di qualità sono un’altra cosa…24 - autostima-e-dieta ed

I pensieri che si formano nella nostra mente sono più o meno gli stessi: «Ma mi ha detto questo, mi ha detto quello, come è possibile? Se non mi vuole, significa che io non sono abbastanza, non sono speciale e non sono neanche bella. E se dovessi vederlo con un’altra, potrei impazzire. Perché allora quando mi ha detto (e lo dicono…) “non sono pronto, ho paura, andiamo con calma…”, erano tutte bugie. Era perché non voleva me. Perché io non sono abbastanza…»

Signore, vi presento, ma la conoscete già, la miopia femminile!

Potrei scrivere un altro libro, se non una trilogia, su aneddoti a dimostrazione di questo, su storie vissute o raccontate di come ognuna di noi, almeno una volta nella vita, si sia totalmente annullata per stare dietro a un Tutt’altro-che-Principe-Azzurro. Che abbia perso amicizie, parenti, chili, capelli, quintali di autostima, perché non si sentiva abbastanza.

Potrei scriverne tante. Ne scriverò una che basta per tre…

Lui e Lei si conoscevano già, per questo lei pensava che lui non l’avrebbe mai trattata male e che, tra milioni di donne da prendere in giro, non l’avrebbe mai fatto con lei. Per questo lei gli credeva.

Lui le aveva detto che a lei ci teneva parecchio, per questo voleva fare le cose per bene e che non avrebbe mai voluto mettersi in condizione di litigare con lei. Lui ci teneva parecchio, per questo – per mesi – appariva e scompariva a suo piacimento. Puntualmente, appena lei iniziava a scordarsi di lui e rinsavire, lui tornava più “tenente” e convincente che mai. Da una parte, evidentemente, non la voleva, ma dall’altra non la lasciava andare.

C’è da dire poi che aveva attuato anche la regola d’oro del “Corteggiamento educato” ovvero: non ti salto addosso subito perché con te faccio sul serio. (Il corollario inverso è alla base del “Corteggiamento mirato” = mirato a ottenere…).

Per questo lui, che ci teneva, non l’aveva ancora nemmeno mai baciata.

Finché una sera, mesi dopo, si coronò il loro sogno d’Amore.

Il galantuomo in questione credo che abbia visto più volte il film “Pretty Woman” e ne abbia preso insegnamento. Ma non per la parte bella, romantica, rosa, infiocchettata e stucchevole, in cui lei gli dice, sincera e pura come una bimba: «Voglio la Favola…» e lui corre a salvarla e vissero felici e contenti… Credo che lui abbia preso spunto, piuttosto, dalla frase pragmatica, da lavoratrice di strada: «Io faccio tutto, tranne baciare sulla bocca. Troppo intimo».

Perché “L’Uomo-che-ci-tiene”, proprio perché ci tiene, ti scopa senza baciarti. Niente brivido, occhi negli occhi, niente bacio con carezza sulla guancia, tocco leggero, poi più profondo, agitazione ed eccitazione che salgono, niente di niente. Girati e andiamo. Grazie e arrivederci. Anzi, addio.

Lui, tempo dopo, le aveva anche detto che si era tanto pentito di quello che aveva fatto. Di averla trattata come una sgualdrina di strada? No, di essere stato con lei, definendola una “cazzata fatta”.

La fanciulla si vergognava così tanto (LEI!) di un tale comportamento/trattamento che aveva mentito anche alle sue amiche più care «Ho passato una bellissima serata…» Ma, visto che “L’Uomo-che-ci-tiene” fa le cose per bene, era subito sparito e fu così che la verità venne fuori.

“L’Uomo-che-ci-tiene”: Parole tante, fatti pochini. Uno solo da registrare: distruzione totale dei sogni e dell’autostima della fanciulla. Ma ci teneva, eccome! A distruggerla.

Cosa c’è di peggio di fare l’amore, perché per lei era Amore, con uno che neanche ti bacia? Me lo sono chiesta tanto e non son riuscita a darmi una risposta. Ho solo concluso che penso che non ci sia nulla di più squallido e di più umiliante per una donna. La cosa davvero triste è che lei, anche dopo questo, lo voleva e continuava a credergli. Davvero deleteria la miopia.

barbie bastarda miopiaEvidentemente, tutti sapevano che a lui, di lei, non fregava una beata mazza. Tranne lei. E lei lo capì quando il migliore amico di lui si sentì in diritto di provarci con lei. Tu ci proveresti mai con uno/a che sai che piace tanto al/alla tuo/a migliore amico/a? (E in quanto amico/a certe cose le SAI…) La risposta la conosciamo tutti.

Lei l’ho vista piangere incredula, spenta per mesi, durante i quali però le ripetevo, perché lo era sul serio: «Comunque ‘sti giorni sei di un bello spaventoso». E lei mi rispondeva senza gioia:

«Saranno gli occhi lucidi…» E se ne andava in giro come un mucchietto d’ossa spaventato, annientata, ancora una volta, per cinque minuti di felicità.

L’ho sentita dire «Sono terrorizzata» ogni volta che le si avvicinava un uomo.

Perché se ti tratta così uno che dice di tenerci, cosa aspettarsi da chi non lo fa?

È assurdo, infantile e anche se ormai siamo addestrate a non credere più alle parole, purtroppo, quando ne sentiamo alcune, quando ci sfiorano il cuore e lo sentiamo battere più forte, e, soprattutto, quando uno ci piace da matti, tendiamo a crederci ciecamente. Appunto.

Fu significativo anche il comportamento a posteriori. Lei, una come noi, come tante, disillusa e amareggiata a tal punto che un giorno l’avevo sentita dire due frasi terribili:

«Ormai ho capito che le persone vanno maltrattate, perché più le tratti bene, più se ne approfittano».

«Non voglio innamorarmi mai più. Gli uomini vanno solo sfruttati, senza sentimento…»

Erano terribili perché, purtroppo, avevo capito che aveva iniziato a pensarla davvero così.

L’aveva pure fatto di, come credeva lei, “usare gli uomini senza sentimento”. Solo che dopo aveva pianto. E questo non faceva parte del piano.

Ma, per fortuna, significava che non si era totalmente inaridita e che in lei c’era ancora un, seppur piccolissimo, barlume di speranza, sopravvissuto comunque a quintali di lacrime e schifo.

Un bel giorno arrivò la Favola vera e propria, che narra della bella Principessa triste che un bel giorno incontrò un bel Principe Azzurro che le disse le belle parole che erano tutto ciò che ogni donna avrebbe voluto sentire… che da tempo la desiderava, che con lei era tornato felice e solo con lei era tornato a sorridere… La Principessa triste gliel’aveva detto di essere terrorizzata e disillusa e gli aveva chiesto di dirle sempre e solo la verità, ma lui voleva solo renderla felice. E anche la Principessa triste tornò a sorridere.

E vissero felici e contenti…

…per dieci minuti buoni…

La Bella Principessa e tutti i suoi «Ma perché?» erano tornati tristi e lei non riusciva a pensare altro che a lui. Uno che, per certe cose rappresentava quello che lei non aveva mai voluto, uno che non si era neanche preso il disturbo di guardarla negli occhi per scaricarla, ma l’aveva fatto con un misero messaggio su WhatsApp, ovvero neanche la decenza di spenderci 15 miseri centesimi! E lei? Lei lo voleva ancora! Lei non poteva capire né accettare una tale crudeltà. Un cambiamento così repentino. Dal paradiso all’inferno in un nanosecondo e senza spiegazioni plausibili. E… ancora una volta… Allora c’è davvero qualcosa che non va in me…

Ah! Anche lui aveva detto di tenerci… Ma parecchio, eh? Aveva usato anche la parola che inizia per “A”… A lei sembrava anche esagerato, ma chi è che non si sognerebbe una cosa del genere? Poi lui le aveva detto che le sentiva davvero quelle cose, ma poi non le sentiva più, ma forse non le aveva mai davvero sentite, ma forse… Ma perché vi comportate così?

Quando mi vengono raccontate certe cose, riesco a fare un’analisi precisa e distaccata, «I FATTI sono questi…» e mi chiedo come sia possibile non riuscire a vedere le cose per quelle che, semplicemente, sono. Come sia possibile continuare ad arrovellarsi o a sperare in qualcuno che, di fatto, dimostra tutt’altro che Amore. Poi mi ricordo di tutte le volte che è successo a me… ‘sta cazzo di miopia!!!

Forse è il fatto che siamo tutte potenzialmente madri, geneticamente disposte al perdono e alla comprensione, o forse perché crediamo sempre e comunque nel dannato Lieto Fine, o forse perché quando si tratta di sentimenti, vediamo, appunto, davvero solo quello che vogliamo vedere.

Basterebbe pensare una cosa semplice: quando ci tieni a una persona, non te lo sogni neanche lontanamente di farle coscientemente del male. Perché se ti comporti così, ne sei consapevole, eccome, di farle del male. Basterebbe ricordarsi questo. Pensare che quelle dette erano pure e semplici parole senza un vero significato, comunemente dette sporche bugie ingannevoli. Sì, le dicono eccome.

A volte, se sei davvero, davvero fortunata, potrai avere il piacere di sentirne altre del tipo “scaricamento di coscienza”: «Non sapevo di ferirti, non volevo, non pensavo che se fossi sparito saresti stata male, non l’avevo mai fatto, scusami, ero lobotomizzato, ero posseduto, non ero io…» Varie ed eventuali. Che alla fine riescono quasi a farti pena. Loro!

Io concedo sempre il beneficio del dubbio, perché uso come parametro il mio comportamento, ma soprattutto perché mi rimane mooolto difficile accettare la dura realtà. Ma purtroppo alla fine devo farlo e ricordarmi che non dipende da me, né è un mio problema. È un dato di fatto: certa gente fa SCHIFO. PUNTO.24 - autostima

Accettare e andare avanti. Semplice, no? A parole, parecchio.

Statisticamente devo dare un dato: tornano. Tornano sempre, tornano tutti. Perché? Non lo so… Certe volte perché davvero si rendono conto di quel che hanno perso (Aho ma sempre DOPO???) Certe volte perché non sono del tutto soddisfatti del lavoro precedente e tornano per annientarti ancora di più, con lo scopo di non farti rialzare (non ci riuscirai MAI, baby!). Altre volte tornano e a te non frega davvero più niente. E ti sembra quasi impossibile che quello che, un tempo, consideravi il tuo TUTTO, ora non sia più niente. E ti sembra impossibile di aver superato tutto quel dolore, quella morsa perenne nello stomaco, i tremila pensieri, le notti in bianco, e di essere sopravvissuta ed essere comunque qui. Più bella, più forte e più serena. Perché alla fine la vista torna, la miopia temporanea svanisce e riesci di nuovo a vedere bene.

Sorellina mia, più volte al giorno ti (mi) consiglio di combattere la miopia con una grossa lente d’ingrandimento. Guarda che bel pezzo di ragazza sei, pensa a quelli che ti hanno fatto convincere del contrario, pensa che è passata e che il sole è tornato a splendere. Pensa che loro, una come te, non la troveranno mai più. Perché quello sguardo, quel carattere, quel sorriso, quella battuta pronta, quella dolcezza e quella fragilità ce li hai solo tu… Pensa che, da qualche parte in questo bellissimo mondo, quegli stessi uomini stanno torturando qualche altra donzella e sentiti fortunata per non essere più lì. Pensa anche che, in virtù del karma, qualche sorella sta torturando loro e che loro ora stanno come te, qualche tempo fa. Se non peggio, perché l’uomo vero non può mostrarsi debole, quindi starà male e starà solo, per non lasciare testimoni.

Pensa tutto questo…

Sì, ora puoi sorridere.

«Chi ti ha fatto gli occhi e quelle gambe, ci sapeva fare. Chi ti ha dato tutta la dolcezza, ti voleva bene».  

Ligabue

Dedicato A TE. Tu hai capito e sai e ora ci vedi bene. 😉

Prima pubblicazione: 05.03.2014