GLI EX FILES

C’è stato un tempo in cui ci raccontavamo quanto fosse indispensabile conoscere TUTTO sul passato dei nostri uomini.

Su ogni singola precedente relazione.

Sapere ogni dettaglio delle loro Ex, del PERCHÉ lo erano diventate, COSA non aveva funzionato, DOVE risiedevano le colpe.

Furbamente ci serviva per prendere subito le distanze da certi, eventuali, comportamenti sbagliati di costoro.

«Ah no, io non sono per niente così!»

Comprendere quel che ai nostri uomini proprio non aggradava per evitare di farli scappare.

Capire nello specifico il tipo di rapporto che avevano nella testa per riuscire a incarnarlo al meglio.

Annotare quello che proprio detestavano, evitando di metterlo in atto.

Per mostrare loro quanto noi fossimo migliori e proprio più giuste, integerrime, perfette per loro.

«Figurati, a me non importa nulla se non mi chiami per tre giorni! Il calcetto? Ma ci puoi andare quando vuoi! Che problema c’è??»

(False. Falsissime)

Poi qualcosa è cambiato.

Almeno in me.

Innanzitutto interpretare un ruolo non mi si addice, è estenuante, poi non sono capace.

Perché, se non mi chiami per tre giorni, io mi incazzo eccome e te lo dico pure, e sticazzi se ti infastidisci.

Perché come sono, con quei quattro pregi e millemila difetti, ti deve essere chiaro fin da subito. E io devo avere chiaro CHI sei tu.

Per valutare se le nostre idiosincrasie possano riuscire a conciliarsi. Se vogliamo, davvero, farle convivere.

Inoltre, ormai se sento parlare di Ex, fare paragoni con l’Ex, rimarcare l’Ex, mi si attiva l’allarme fuga nel cervello.

E i motivi sono molteplici.

Parole cariche di astio mi spaventano.

I vari “Troia”, “Puttana” et similia che utilizzate per dipingere le vostre precedenti compagne di vita non mi fanno sentire rassicurata, non mi affrancano dalla paura che sia permaso qualsiasi tipo di affetto recondito.

Tutt’altro.

Li trovo sgradevoli e poi mi rammentano che l’odio è un sentimento molto simile all’amore: entrambi determinano una discreta fissazione per l’oggetto della nostra attenzione, un vivo attaccamento, un qualcosa che proprio non si vuole lasciare andare, seppur dannosa per noi.

A tal proposito, vorrei pure biasimare le fanciulle che per sentirsi very faighe utilizzano simpatiche frasi per dimostrare che non rosicano delle nuove liasons dei propri ex, del tipo:

“Non sono gelosa se vedo il mio ex con un’altra. La mamma mi ha insegnato che devo dare i giocattoli usati alle bambine meno fortunate”.

Perché vorrei ricordare loro che tutti siamo il “trastullo dismesso” di qualcun altro, per dire.

Un buon esempio è il caso di quel tale che appena conosciuto e in un contesto tutt’altro che romantico, ha iniziato a parlarmi di lei.

I cavoli miei li racconto a tre persone contate, invece ho capito che in giro c’è un gran desiderio di raccontarsi, ma in quel momento mi sono limitata a compiacermi per la fiducia che, pur non conoscendomi, lui aveva riposto in me.

Ingenua.

Quando ho avuto modo di approfondire la conoscenza, ho capito che non ero affatto speciale, non ispiravo confidenze intime, non aveva visto in me chissà che, no. Semplicemente, lui aveva bisogno di parlare di lei, solo lei, continuamente lei.

E lo lasciai coi suoi monologhi e la sua ossessione.

Attenzione, non sto dicendo che non si debba condividere, raccontarsi, confrontarsi, anzi.

Probabilmente oggi siamo il prodotto del nostro vissuto. Una versione migliorata (o peggiorata) di noi stessi vergini.

Analizzare gli accadimenti pregressi può far bene e io potrei pure raccontarti quanto siano stati stronzi quelli prima di te, ma sarebbe davvero la verità?

O sarebbe un racconto di parte, datato ma, ben più importante, contestualizzato a quel rapporto. Frutto di me e lui. E di me e di lui di quel determinato momento.

Magari un lui che riusciva a tirare fuori il peggio di me o un rapporto logorato nel quale ogni sciocchezza diveniva pretesto di battaglie infime e mutismo. O due caratteri incompatibili che non sapevano lasciarsi stare o, ancora, un tiepido interesse bilaterale mascherato da passione, per farsi compagnia.

Potrebbe sul serio dirti CHI sono io?
Potresti davvero avere una visione completa e obiettiva di quel che potremmo essere NOI?

Che senso ha sdoganare Ex Files se magari, insieme a te, io potrei scoprire di essere più o meno tollerante di quanto sia mai stata; più o meno accomodante di quanto non avrei mai immaginato; più o meno felice di quanto non ci è dato sapere, se non ci impegniamo per scoprirlo.

Al netto di tutti i nostri Ex e dei comportamenti precedenti.

In questi termini, potremmo anche parlarne.

Ma mi chiedo quanto possa essere utile all’economia della relazione.

E sarebbe un altro tipo di parlare, rispetto a quelli che non hanno altri argomenti, che trovano il pretesto per infilare dentro il discorso il suo (di lei) nome, un qualsivoglia aneddoto, o addirittura mostrarti delle sue (di lei) foto per elogiarne la bellezza (successo, successo, successo, successo, ho vinto qualche cosa??)

In questi casi, Signori/e, c’è un bel cazzo di problema.

In questi casi, miei/e cari/e, ci sono Ex Files belli aperti.

Quando invece dovrebbero essere archiviati e, non dico cestinati, ma almeno secretati.

In questi casi, belli de casa, state da soli, ve ne prego.

Analizzate, rimuginate, arrabbiatevi, da soli.

Rimarcate, paragonate, additate, da soli.

Valutate, capite e, se è il caso, rimediate.

Soprattutto, capite il vero motivo per il quale questi Ex Files sono ancora aperti.

Se c’è ancora un sentimento o se li usate come un (s)comodo pretesto.

Ho spesso coltivato discrete ossessioni per Ex (o “mai stati”) soltanto per tenere occupato il mio muscolo cardiaco e/o, peggio, per evitare di lasciarmi andare. Per far finta che non ci fosse posto per qualcun altro. Per tenermi al riparo dal dolore ma anche dalla felicità.

Perché il passato, per quanto doloroso, fa molta meno paura dell’ignoto, di quel che potrebbe essere.

Scoprirlo e ammetterlo a me stessa è stato devastante.

Dopo, però, mi sono sentita nuova, libera e con un mucchio di spazio.

Spazio pulito e senza ombre.

Spazio da riempire con qualche nuova ossessione, attaccamento, lasciarsi andare e non lasciarsi stare.

Ma in positivo.

 

 

 

È da parecchio tempo che non dedico un articolo a qualcuno:

A Te. Per avermi fatto capire.

INTENZIONALMENTE INFELICI

Entrando alla festa, il mio ingresso era stato accolto da Rino Gaetano e una delle mie canzoni preferite.

Il caso, che non è mai a “caso”, aveva voluto così.

Ero contenta, anche se da un po’ di tempo ascoltarla mi faceva pensare a Lui.

Mi rammentava quando l’avevamo cantata insieme, felici, spensierati, in uno di quei momenti perfetti.

«…dammi la mano e torna vicino…»

Ora – invece – rimandava ai ricordi successivi, poco piacevoli, da botta allo stomaco, che mal si addicevano a una serata di bagordi sulla spiaggia.

Che cazzo, però.

Una ci mette tutta la vita a scegliersi le proprie canzoni, la colonna sonora della propria esistenza,  e poi a causa di un ricordo te le mandano di traverso. Arriva un tizio qualsiasi che te le guasta, te le “rovina”, che ti fa storcere il naso quando le ascolti, che ti demolisce l’umore in un attimo.

Non va bene.

Quando l’ho permesso?

Avevo cercato di distogliere la mente dal pensiero di lui, col fiero intento di divertirmi.

Eppure si riaffacciava.

Lui non c’era, ma era lì.

Concentrati su altro, cavolo!
Guardati intorno: sei a un “White Party”. Ci sono centinaia di uomini in camicia bianca, C-A-M-I-C-I-A B-I-A-N-C-A, e tu pensi all’ultimo al quale dovresti pensare!

Credi che lui si stia consumando per te?

Che ci posso fare?

Sono una che pensa, che rimugina, che si fissa.

Sono così.

Mi sono tornate in mente tutte le serate che ero riuscita a rovinarmi da sola con le mie mani o, meglio, coi miei pensieri, a tutte le volte che, con la testa altrove, non mi ero goduta il presente, il posto, la musica e diverse persone.

Che stupida.

Ho sentito un pianoforte, familiare.

Einaudi.

Il MIO Ludovico suonato a una festa sulla spiaggia. Curioso.

Le mie canzoni, il mio stabilimento, la mia estate, la mia festa, perché devo guastarmi tutto questo?

Non poteva essere una serata qualsiasi, passata col muso a rimuginare.

Infatti, la ricorderò come la sera che ho fatto pace col mio ex.

Il mio ex liquore.

Ho bevuto nuovamente il Gin, dopo quindici anni che non lo toccavo.

Se dovessi associare un sapore a tutte le serate passate in discoteca in gioventù, vi accosterei senz’altro quello acre e profumato del Gin Lemon.

Era il mio cocktail preferito, finché una volta mi fece male e non lo toccai più.

Non ho mai riprovato a berlo, mi sono limitata a schivarlo con attenzione, senza concedergli appelli.

Era diventata anche una delle mie battute preferite: «Posso ingurgitare tutto, tranne il Gin!»

Un’etichetta, un paletto, un limite. Uno dei tanti che ci affibbiamo.

Sono così. Punto. Questo lo faccio, quello no. È sempre stato così, perché dovrei cambiare?

Poi se qualcosa mi ha fatto già male una volta, la eviterò sempre.

Ecco il punto.

Invece quella sera, complice il caos e la fretta, ho deciso che avrei potuto dargli un’altra possibilità.

Che magari sarei stata male di nuovo, ma poi sarei sopravvissuta. Come sempre, come tutti.

Invece, non solo non mi ha fatto male, ma mi sono accorta di quanto, nella mia vita, fosse mancato per tre lustri il Gin, a causa dei limiti che ci auto imponiamo. Della paura di farci male di nuovo. Dei ricordi dolorosi passati che condizionano le nostre scelte nel presente. Degli scudi che ergiamo per difesa e di quanto siamo bravi nel farlo.

Potrei tenere dei corsi sul tema: “Manuale di tutela personale – Vol. I, II e III”.

Come è molto più facile passare una serata in disparte, a rimuginare, nel proprio orticello sicuro, piuttosto che buttarsi nella mischia, mettersi in gioco, parlare, scherzare e – orrore, orrore – flirtare e socializzare. Scoprire uno sconosciuto.

La settimana precedente mi era successo qualcosa di simile con lo smalto. Porto il french semplice da sempre, mi conoscono tutti così. Mi sono sempre detta che gli altri colori non mi donassero che non mi piacessero addosso a me e alle mie manone. Così, d’improvviso, ho deciso di osare un rosa pallido e devo dire che mi piace parecchio.

Sono piccolezze, magari. Ma rappresentano un’uscita dagli schemi, dal conosciuto, dai paletti del “Sono fatta così, non posso cambiare”.

Non lo posso fare;

Mi dà fastidio;

Non è da me;

Non ci riesco;

Non lo faccio;

Mi fa male;

Mi fa male pensare;

Mi fa male ascoltare;

Quante di queste frasi pronunciamo?

Quanto è più sicuro nasconderci dietro a esse?

Come se volessimo rimanere attaccati al nostro dolore, alla nostra convinzione, per sicurezza.

Perché non abbiamo il coraggio di (ri)scoprire qualcosa di nuovo.

Esattamente come stavo permettendo a un uomo di rovinarmi la serata e una delle mie canzoni preferite, solo perché avevo scelto di farlo.

E se tutti paletti, i limiti che ci poniamo o i pensieri consolidati che continuiamo a perpetrare, sebbene li riconosciamo come dannosi, non contribuiscano a renderci INTENZIONALMENTE INFELICI?

Se fosse vero?

Se la nostra infelicità dipendesse solo da noi e da pensieri e azioni che scegliamo deliberatamente di compiere, seppur consci di quanto siano dannosi?

O se, al contrario, preferiamo restare immobili, fermi nelle nostre convinzioni, come vigliacchi impauriti?

Se ci ostinassimo a complicarci la vita e focalizzarci su quello che non dovremmo?

Come quando vogliamo a tutti i costi conoscere una verità che sappiamo, per certo, che ci farà del male, o – viceversa – quando fingiamo di ignorare una realtà, mentendo solo a noi stessi.

Sembra facile… Ma se lo fosse davvero?

Se la nostra infelicità fosse una condizione nella quale ci piace crogiolarci?

Se la smettessimo di dare potere a pensieri o persone deleteri?

E se iniziassimo a scardinare tutte le nostre credenze negative, le barriere, i pensieri limitanti, le convinzioni consolidate, per scoprire un mondo nuovo, diverso, che non possiamo neanche lontanamente immaginare?

Che poi, diciamocelo, io mi sono anche parecchio frantumata le ovaie di stare a pensare a gente che non mi pensa o che non me lo dice.

Di ripensare al passato, di rivivere ricordi brutti, di restare ancorata e stazionaria per la paura di agire, di evolvere, di crescere, perfino.

Di continuare a dare importanza a gente davvero poco importante.

Di autoimpormi dei limiti che sono stati creati e alimentati solo da me.

Quindi, perché farlo?

Ho compiuto ben due azioni che mai nella vita avrei pensato di riuscire a fare.

Potrei continuare questa scia di stravolgimenti, compiendo quella che tutti mi stanno suggerendo di fare, ma che continuo a ripetere di non poter riuscire a mettere in pratica: invitare a cena un uomo.

Potrei farlo.

Potremmo cenare insieme, io e te.

E poi brinderemo col Gin, ascoltando Rino , magari con uno smalto rosso.

(vabbè, adesso non esageriamo…)

MI HA DETTO BABBO NATALE CHE VOI NON ESISTETE!

ATTENZIONE!!

***CONTIENE SPOILER SULL’ESISTENZA DI BABBO NATALE E SUL LIBRO “IT”***

 

Quando fui informata dell’esistenza di un caro vecchio signore che – la notte di Natale – si prendeva la briga di portare doni a tutti i bambini in giro per il mondo, ebbi molte perplessità.

Nonostante lo stupore e la gioia, mi ponevo innumerevoli domande:

  • Come fa a fare il giro del mondo in una sola notte??

  • Dove mette tutti i regali??

  • Come fa a ricordarsi di tutti i bambini e sapere se sono stati buoni??

  • Perché ha la stessa calligrafia di mamma??

  • Se ha la pancia, come ci passa dal camino??

  • E chi non ha il camino? Come fa??

  • Come riesce a non farsi beccare mai e da nessuno??

Scassapalle di Natale lo son sempre stata, sin da piccola.

Però, poi mi facevo bastare le spiegazioni che i miei mi davano.

Per esempio non ho mai confutato la sua capacità di volare a bordo di una slitta trainata da renne: LO RITENEVO POSSIBILE.

Perché avrei dovuto dubitare dell’esistenza di un essere così buono? Di una storia così magica e affascinante?

Gli ho anche scritto quella lettera, spedita fino in Lapponia e mi ha pure risposto.

Però quella mia amica mi ha detto che non è così, è tutta una messinscena degli adulti. Ma lei che ne sa? Lei non è capace di credere.

È tutto vero: Babbo Natale esiste.

Ho riletto, o meglio, ripassato “IT” quest’estate, per prepararmi al film. Ammetto che era un po’ che non lo sfogliavo, che non mi immergevo nella storia dei sette amici che affrontano e sconfiggono il male.

La prima volta lo lessi che ero ragazzina, con un vissuto e una visione del mondo molto diversa rispetto a ora, come è normale che sia.

Stavolta ho notato delle sfumature che mi erano sfuggite o che avevo dimenticato, magari sepolte sotto strati di razionalità adulta.

Il Re ci spiega che IT si nutre e si forma con la paura, assume le sembianze dei soggetti che temiamo: un licantropo, un lebbroso, un padre manesco. Sono i nostri incubi a generarlo.

E così come lo hanno creato, i sette amici riescono ad annientarlo. Nonostante non ci fosse mai riuscito nessuno prima di loro, nonostante fosse terribile e avesse tutta l’intenzione di ucciderli, nonostante fosse potente e magico, loro riescono a batterlo. Perché lo credevano possibile.

Da piccoli temiamo il buio perché sappiamo che può celare mostri.

Ci crediamo.

Esattamente come crediamo a Babbo Natale, a una Fatina che ci dà del denaro in cambio dei nostri dentini, a una vecchina che ci porta dolci o carbone, all’eterno dualismo bene/male.

Ci sono le creature buone, e ci sono le creature del buio.

Quest’ultime le possiamo sconfiggere lasciando una piccola lucina accesa, o convincendoci che non c’è niente sotto il letto, nell’armadio ci sono solo vestiti, guarda se non ci credi. Nulla.

La nostra realtà è plasmata da tutto quello in cui crediamo, una proiezione dei nostri pensieri che forma il nostro mondo, per questo la nostra infanzia era permeata di magia.

Come da bambini crediamo che tutto sia possibile, che le favole si avverano, così l’età adulta è formata dalla razionalità, dai doveri, dal disincanto, dalle preoccupazioni.

A questi pensieri prestiamo la nostra maggiore attenzione.

Non crediamo più alla magia, a tutto quello che può succedere, ai desideri e ai sogni che si avverano, al bene che sconfigge sempre il male.

Filtriamo lo scibile con la lente del disincanto, dimenticandoci della magia, dei poteri, dell’impossibile che diventa possibile.

Ma io credo ancora a Babbo Natale.

Credo che il male esista, ma credo di più nel bene. E credo pure che i portatori di male vadano presi a calci in culo, perché siamo buoni, mica coglioni.

Credo nella famiglia: guida, supporto, sopportazione, rifugio, calore.

Credo nei miracoli. Che siano riuscire ad arrivare a fine mese, o avere ancora la forza di sorridere, nonostante tutto.

Credo alle Fatine. Non si interessano solo ai miei denti, ma anche a tutto quello che c’è intorno. Non mi regalano soldi, ma presenza. Le chiamo amiche.

Credo nell’energia positiva, nel potere della mente.

Credo nell’empatia e nella telepatia affettiva, che quando due persone sono unite si stanno vicine anche coi pensieri.

Credo che il sorriso sia un’arma potentissima: dona forza a chi ci ama, spiazza tutti gli altri.

Credo nell’ironia e nell’autoironia, credo che dissacrare le esperienze negative aiuti a superarle e a depotenziarle.

Credo negli abbracci curativi, dimostrativi, avvolgenti, epidermici, necessari.

Credo nei baci. Quelli lunghi e profondi, che annullano il resto del mondo. E credo in quello che viene dopo.

Credo nella bellezza del cielo e delle stelle, e credo nel puntare il naso all’insù.

Credo nel cantare e ballare; nel ridere senza motivo; nelle telefonate; nei messaggi; negli “Stavo pensando a te”.

Credo nel mangiare e nel bere; nel passeggiare per i boschi; credo nello shopping curativo.

Credo nei vestiti e nei tacchi alti. E credo che un bel trucco possa cambiarti aspetto e umore.

Credo che il mare abbia il potere di riallinearmi con me stessa e col mondo.

Credo che “Ciò su cui ti concentri, cresce”, perciò credo a Babbo Natale. Che magari non è un pancione vestito di rosso, ma rappresenta chi riesce ad aiutarti senza nulla chiedere in cambio. Chi c’è sempre, chi riesce a mantenersi un ottimista innamorato della vita.

Rappresenta tutto questo, tutto quello in cui credo.

I pessimisti cronici; i lamentosi a oltranza; gli odiatori seriali; i disincantati; i gretti; i poveri d’animo; gli ipocriti; quelli che “ho ancora il vomito per quello che riescono a dire, non so se son peggio le balle oppure le facce che riescono a fare”; i sorrisi più finti dei miei ventinove anni; gli invidiosi; i portatori insani di malumore; i perfidi per sport; chi non ha cura del cuore degli altri; gli sprovvisti di empatia; i voltagabbana; gli amici finché serve; i visualizzatori senza risposta; i millantatatori di sentimenti; i contafavole; gli usa-e-getta; gli abbrutiti; gli incazzati col mondo; i boriosi…

A voi non credo.

Voi non esistete.

 

PS: È sorprendente. Forse ho fatto pace col Natale.

Ve l’ho detto, la magia c’è.

 

 

«Ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia,

e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste».

Stephen King

 

«Io credo a Babbo Natale, credo al topolino dei denti, credo alla Befana e agli angeli ma non credo che tu esista. Questo è acido muriatico, adesso tu scomparirai!»

Eddie Kaspbrak – IT, il film

TI DEVI VERGOGNARE!

L’altro giorno parlavo con un uomo (e sono indecisa se usare per lui la maiuscola o la minuscola) del tempo trascorso da individui soli, aka single. Lui mi confessava di aver raggiunto il proprio personale record di singletudine della durata di qualche mese. Io mi sono messa a ridere…

Non si ricordava, perché glielo avevo già detto, che del mio – invece – dobbiamo parlare in termini di anni (e non vi dirò QUANTI, visti i risultati) ed è rimasto sgomento.

Tanto che poi mi ha suggerito che, se mai dovessi incontrare qualcuno, non dovrei farne la minima menzione, perché, cito testualmente:

«Un uomo si spaventerebbe e scapperebbe, penserebbe che con te deve fare per forza subito una “cosa seria”, che sei una che sa stare da sola, quindi con le palle, e comunque lo metteresti in grosse difficoltà. Non glielo dire…»

Ecco.Barbie Bastarda vergogna (2)

Nella mia mente si è formata un’enorme scritta al neon che recitava:

«TI DEVI VERGOGNARE!»

Quindi mi sono chiesta se sia vero, se debba vergognarmi della mia situazione e, quindi, omettere e celare quella che sono per prevenire una fuga. Se ogni uomo formulerebbe subito ed esattamente queste equazioni o se siano pensieri del tutto opinabili. Se, effettivamente, il mio status di perpetua zitellaggine possa intimorire un uomo e perché. Se riesca addirittura a precludere una relazione. Se, perciò, la singletudine richiami per forza altra singletudine, perché allora, sì, sarei definitivamente spacciata.

Forse do sempre troppa importanza a quel che mi viene detto, ma non posso fare a meno di rifletterci su.

Inoltre, mi trovo nella fase pre-compleanno in cui, inevitabilmente, ti torturi e analizzi tutta la tua vita e gli anni che passano e che casino e che disastro e che palle e come farò?!

Non che negli altri periodi dell’anno non me lo chieda… In realtà, se sei single, ne passi un bel po’ di tempo a chiederti “perché”. Ma non l’avevo mai pensato come una sorta di “disonore” da dover occultare…

Ho trascorso la maggior parte della mia esistenza da sola, mentre tutti, intorno a me, mi e si chiedevano: «Come mai?»

Sei bellissima, sei simpatica, sei una gran persona, EPPURE sei single. Come mai?

Già, come mai?

Allora, sì, te lo chiedi: «Cos’ho di sbagliato?»

Allora, sì, te lo chiedi: «Dove ho sbagliato? Perché alle altre sì e a me no?»

E, dopo una vita passata a chiederti cos’hai di sbagliato, capisci che forse non sei tu sbagliata, forse, è il mondo sbagliato o ti dici che il mondo è sbagliato per non darti colpe che forse hai, ma… non lo saprai mai! Dopo una vita passata a cercare di cambiare quella che sei, perché forse così non vai bene, capisci che alla fine vai bene così! Che c’è di molto peggio, boh non lo so!

Dopo una vita ad osservare quelle che condividono con me il primato di zitellaggine e a non trovarle poi così strane, così diverse, così dissimili dalle altre donne, o senza evidenti difetti che spiegherebbero la perenne posizione nella panchina  del gioco delle coppie, continuo a chiedermi se siamo davvero noi a fare paura e a doverci vergognare.

Perché TUTTE noi ci interroghiamo.

Considero che ci poniamo un sacco, troppe, domande alle quali probabilmente non avremo mai risposta.

E a questo punto, credo, piuttosto,  che dovrebbe vergognarsi chi ha dei pregiudizi o in base a poche informazioni trae conclusioni che più gli fanno comodo. Chi formula alibi per giustificare una fuga.

Alla fine, ho concluso che del mio protratto “single” non me ne vergogno neanche un po’!

Che sono fiera di riuscire ad essere felice anche da sola, di non aver  barattato la felicità con la compagnia a tutti i costi.

Che forse è vero, come dice una mia amica, che sono stata tanto sfortunata.

Che ci ho provato, ho sbagliato, ho pianto e sofferto, ho lasciato e scartato, ho giocato la mia partita come tutti e non so se alla fine ho perso o vinto, ma non posso e non devo vergognarmi per questo.

Che conosco davvero tante donne belle, in gamba, realizzate, felici, ma single. E neanche loro dovrebbero vergognarsene.

Che mi piacerebbe moltissimo trascorrere la vita con qualcuno di speciale, ma, se questo non accade, non posso martoriarmi più di quanto non faccia già e – soprattutto – non voglio trovarmi qualcuno solo per riempire lo spazio vuoto accanto alla mia spalla.

Che, a quest’ora, sarei potuta essere sposata con qualcuno che non volevo, o separata, o madre di figli infelici per il poco amore che circola in casa, o tutte le precedenti.

E allora sì che mi sarei vergognata di me stessa. Se avessi compiuto atti che andavano contro il mio istinto, la mia felicità e il mio cuore, non credo che avrei camminato a testa alta, come faccio ora.Barbie Bastarda vergogna (3)

Che questo dimostra che ho avuto un grandissimo rispetto per me stessa e per gli altri. Ma evidentemente ormai, sono valori dei quali occorre vergognarsi.

Se questo ti fa paura, mio caro sconosciuto che magari incontrerò o magari no, non so davvero cosa fare perché il passato non posso cambiarlo.

Che tutto ciò, forse, potrebbe incutere timore a uomini minuscoli, non a Uomini veri.

Che non so se un uomo preferirebbe, allora, sentirsi dire che ho visitato un letto diverso ogni sera.

Che un uomo potrebbe scappare anche se gli dicessi che sono vegetariana, o la squadra che tifo, o il colore che preferisco, o la musica che ascolto. Che un uomo potrebbe comunque scappare. Punto.

Ma, se questo dovesse accadere, non credo c’entrino i miei anni di singletudine o la grandezza delle mie o delle sue palle. Quanto, piuttosto, il desiderio di stare insieme.

A prescindere da tutto, sopra ogni altra cosa e senza bisogno di darci colpe che non abbiamo.

Se mai incontrerò qualcuno, forse glielo dirò il tempo esatto, o forse non ce ne sarà bisogno perché non sarà importante. Perché sarebbe bello cercare di conoscere la persona che hai di fronte, avulsa dal pregresso, dai racconti e solo per ciò che è CON TE, IN QUESTO MOMENTO.

Perché se io voglio TE e stare davvero con te, del resto non mi interessa nulla.

Questo, sì. Questo glielo dirò.

 

«Più una persona sta bene da sola,

più acquista valore la persona con cui decide di stare»

Cit.

Barbie Bastarda vergogna

LA SINDROME DI TERENCE

Non so voi, ma io la frase: «Non la posso lasciare perché lei è troppo debole, insicura, ecc…» l’ho sentita fin troppe volte, direttamente e indirettamente.

Il primo sentore di questa circostanza, lo ebbi sin dalla tenerissima età, guardando Candy Candy. Per una serie incredibile di eventi, questa sfigata piagnucolosa (e manco bella, dai!) era riuscita a conquistare Terence, altresì detto IL FIGONE.

E, mentre eravamo tutte lì a singhiozzare che allora è vero, il Lieto Fine arriva, se patisci sufficientemente, l’universo ti ricompensa e, come Cenerentola prima e Candy poi, pure se sei una patetica sfigata, alla fine un figo te lo accaparri sicuro. Eddaje! Capimmo che, invece, manco per niente…

Perché Terence la amava, sì, ma non poteva stare con lei, perché Susanna – la donnuccia-uccia-uccia-deboluccia – per salvarlo ci aveva rimesso le gambe e allora “Ti amo ma non posso, DEVO stare con lei”. Per riconoscenza mista a senso di colpa, intrisa di dovere, ottenendo, così, la relazione di “circostanza”, in cui sono entrambi infelici, ma stanno comunque insieme.  Allora Candy scappa per le scale e lui la rincorre e le si avvinghia da dietro e piangono tutti e due e però, niente, non se po’ fa!Barbie Bastarda Candy ev2

Bel quadretto.

E già lì, già da ragazzine, abbiamo capito che ‘sta cosa dell’Amore celava un sacco di fregature e che se poco, poco eri una in gamba (appunto) eri fottuta!

Anni dopo, proprio a ME, toccò fare la Candy Candy della situazione. Quando le mie orecchiucce delicate dovettero sentire le testuali parole:

«Sì, tu sei tu, non c’è paragone, ma io proprio non posso. DEVO rimanere con lei. Lei da sola non ce la farebbe mai…»

Da lì in poi, attraverso incontri o racconti, di donne ritrovatesi novelle Candy, e uomini filantropi, ho imparato che il mondo è pieno di Susanne che gna fanno, minacciano suicidi, e sono davvero troppo, troppo fragili, povere! [e lo sapete che ne penso delle Gatte Morte, vero? Se non lo sapete, leggete QUI]

E il mondo è altresì generoso di Uomini affetti dalla “Sindrome di Terence”, ovvero quella patologia che li spinge a vivere una vita di merda, di supplizi, sacrificati in nome dell’inerzia e del senso di colpa, a fianco di una donna che non amano.

Che poi le donne lo sanno pure di non essere amate e – giuro, giuro, giuro! – viviamo come fratello e sorella e non ci tocchiamo mai, mai, mai e – quelle poche volte che succede – è ginnastica, è timbrare il cartellino, ammazza che schifo.

Però, oh, DEVO!

Ovviamente te lo chiedi: cosa sei, un crocerossino? Chi te lo fa fare di immolare la tua vita e la tua felicità per qualcun altro?

Certe volte, ahimè, le fanciulle attuano dei ricatti morali e materiali davvero difficili da ignorare. Sono sicura che, se ci pensate, vi vengono in mente svariati esempi. Certe volte è davvero difficoltoso per uomini perbene e con un briciolo di cuore, mollarle.

E mi sono sempre chiesta come possa una donna sensata (posto che lo sia), adulta, e con un filo di amor proprio, accettare un compagno di facciata.

Perché tu, donna, se uno vuole o no stare con te, lo sai, lo capisci. Non raccontiamoci il contrario. Piuttosto che stare sola, preferisci una relazione di copertura?

Non pensi di meritare di essere amata, ma amata davvero, e non per convenienza o supplica?

Mi chiedo pure, se dietro questa condanna e abbraccio all’eterna infelicità, esista un tacito, reciproco accordo secondo il quale io resto la “lei” ufficiale, non starò mai da sola, ma devo chiudere un occhio sulle infinite corna che popolano la mia testa. (Non disdegnando, magari, di pareggiare i conti… )

La domanda è, allora, lecita: ma che rapporto è?

Altro fatto che mi ha sempre molto colpito, è la distinzione immediata che riescono a fare gli uomini tra quelle che “non ce la possono fare” e le “donne cazzute che je la fanno, eccome”.

Forse perché non frigniamo, forse perché non supplichiamo e non minacciamo di porre fine alla nostra vita, ma loro sono certi che, va be’, tanto a te passerà, ce la farai, tu sei TOSTA.

A noi, figurati, ‘ste cose non ci sfiorano nemmeno!

Noi siamo forti, a noi “cazzomene”, abbiamo il cuore e la vagina rivestiti di materiale impermeabile e ininfiammabile, a noi che ce frega!

Siamo fredde e insensibili stronze che tanto se la caveranno, ovvio.Barbie Bastarda Susanna

Loro no, le Susanne del mondo gna farebbero mai, scherziamo? Affrontare addirittura una rottura e la vita, completamente sole, chi ci riuscirebbe? Ah, giusto! NOI. Va be’ ma noi possiamo e dobbiamo. Scusa, abbiamo giocato, pacchetta sulla spalla e vattene affanculo. Dai su, che tanto tu non crolli.

Va detto che, ovviamente, noi conosciamo solo una versione della storia, quella del lui altruista. Sarebbe interessantissimo appurare se queste donne siano consapevoli che i loro uomini stanno loro accanto, per mera carità cristiana. Se, effettivamente, siano loro ad aver mendicato attenzioni e presenza, e non viceversa, se questa non sia tutta una favoletta per non impersonare la parte del cattivo, il traditore seriale, ma, piuttosto, quello che vorrebbe pure, ma è talmente buono e riconoscente da non sentirsela di abbandonare la lei che gli è stata vicino per anni.

Ci fanno decisamente una figura migliore, non trovate?

Infine una risposta alla domanda che, sono certa, in molti stanno formulando. I soliti, quelli che non sbagliano mai e hanno sempre quella tremenda voglia di puntare il ditino accusatore contro qualcuno:

«Perché mettersi proprio con uno sposato/fidanzato?».

Ecco.

Sicuramente a voi non sarà MAI successo, ma – nel resto del mondo – capita tutti i giorni.

Certe volte, certe cose, accadono e basta. Anche se ti eri giurata che tu no l’avresti fatto mai.

Non si programmano, né progettano, ma si verificano. E i motivi possono essere i più disparati: la solitudine; il gusto del proibito; l’illusione di riuscire a non legarsi troppo; la vigliaccheria che impedisce di non assumersi un impegno serio e da ultimo, ma più importante, succede anche – e soprattutto – perché l’infelicità spinge la gente a cercarsi altro.

Non è piacevole essere “l’altra”, la cattiva, la zoccola, non è il sogno di nessuna donna essere etichettata come tale. Ma, a volte, accade.

Infatti, nove volte su dieci, sono proprio queste “rovina famiglie” a troncare la liason, poiché stufe di un ruolo che non gli appartiene. Confermando, in effetti, loro sì, di essere così forti da preferire la solitudine a un legame fittizio e infelice.

E finché ci saranno rapporti di apparenza, vi si affiancheranno quelli clandestini.

Ma, onestamente, mi chiedo quali siano quelli davvero“sbagliati”.

 

 

PS: Comunque, se io fossi stata Candy, penso che avrei riposto al Sig. Terence:

«Ti capisco, figurati, che problema c’è? Io tanto me la cavo, sono forte! Sono orfana, amica solo di un procione, perché la mia ex migliore amica si è rivelata una grandissima stronza. Le famiglie adottive mi hanno trattata di schifo, l’amore della mia vita è morto, tu mi stai piantando, però, oh, sto in piedi! In tutti i sensi. Quindi è giusto che tu stia con lei, perché lei c’ha bisogno. Magari di due, ne fate uno sano. Prenditela a braccetto e andatevene affanculo insieme!»

 

Con Amore,

alle mie donne cazzute.

Sempre più fiera di voi.

 

 

IL REGGIMENTO DELLE “MI PIACINE”

Ogni femmina che si rispetti opera una doviziosa attività di stalkeraggio e controllo nei confronti del maschio oggetto dei propri desideri.

Tutte, nessuna esclusa, anche quella che dice di non farlo. Stateci, è così!

Nell’era dei social network, tale attività si manifesta anche nel setaccio minuzioso delle amicizie virtuali e delle interazioni ricevute dal suddetto maschio.

In anni e anni di onorata carriera da stalker ho imparato a riconoscere una categoria di femmine a dir poco invadenti e notevolmente fastidiose: le “MI PIACINE”. Le suddette, evidentemente, non hanno vita propria, ma fissano lo schermo del pc o dello smartphone in attesa di “mi piacere” qualcuno.mi-piace-facebook barbe bastarda ev

Ucci ucci, CHI ha messo “Mi piaciucci”?! ‘sta grandissima zoc***la!!!

Già ne “L’Ammmoooreee ai tempi di Facebook” e ne “Il Principio della Fame nel Mondo” avevo accennato al problema, ma, con l’avvento degli smartphone, la situazione è decisamente peggiorata.

Il commento è opzionale. Le seriali dei commenti sentenziano su ogni cosa, anche con un semplice smiley,  giusto per marcare la propria presenza.

«Ooohiii… maschiettooo!! Sono quiiiiiii!!»

Ma la “Mi piacine” non fanno mai mancare la loro polliciata all’uomo, indipendentemente da cosa pubblichi, loro ci sono!

Anche nei maschi si annoverano esponenti di tale categoria, ma non raggiungeranno mai la costanza e l’onnipresenza delle femmine.

Ammetto che ho scoperto una funzione da stalker professionista: la notifica ogni volta che tizio/caio pubblica qualcosa. Ma devo dire che non l’ho mai attivata per nessuno, perché neanche io arrivo a tanto. Sospetto, però, che le “Mi piacine” se ne avvalgano costantemente, sennò non mi spiego come facciano a polliciare in maniera così repentina!

C’è da dire anche che non tutte quelle che esprimono apprezzamento ci arrecano un fastidio fisico, solo “certe”, in virtù di una Regola base: ogni donna SA di CHI deve essere gelosa. Ricordatelo sempre! Se la vostra lei, o se voi, nutrite una particolare antipatia per una fanciulla “vicina” al vostro uomo, un motivo c’è! Sempreee!!

Una volta ebbi l’incredibile opportunità di conoscere dal vivo una “Mi piacina” che mi stava violentemente sulle palle, in quanto apprezzava qualsiasi elemento – qualsiasi! – postasse il ragazzo con il quale, all’epoca, condividevo la vita.

Incontrata casualmente (o magari lo seguiva…), il maschio di BB, ignaro, ci presentò…

Eccola lì, proprio di fronte a me, colei che soleva “mi piacere” ogni cosa, in tutta la sua bassezza/bruttezza/insulsatezza/antipatichezza e… dai, c’è bisogno che continui??

«BB, lei è Gina…»

«Aaahhh! TU sei Gina. Tu sei quella baldracca che apprezza ogni cosa che fa il mio uomo! MIO, ciccia. MIO!! Ti è chiaro? Comunque la foto del profilo non ti rende giustizia, dal vivo sei molto più trucida. Se continui, dovrai metterne un’altra in cui sei senza denti. Ti è chiaro, tesoro?»

Questo è quello che avrei voluto dire.

Decisi fosse meglio filtrare un pochino il mio astio – onde evitare di dare spiegazioni al maschio sul motivo del suddetto, dando così prova inconfutabile della mia totale follia – perciò dissi semplicemente:

«Aaahhh! TU sei Gina. Ma che piaceeereee… Dove “piacere” è la parola chiave!!» Mentre le stritolavo la mano, le mostrai i canini, accompagnando il gesto da uno sguardo solo velatamente da serial killer e Il mio miglior ghigno da “TU-PROVA-A-RIMETTERGLI-MI PIACE-E-POI-VEDI-DOVE-TE-LO-FICCO-QUEL-CAZZO-DI-POLLICE”!

Sebbene non avessi proferito parola a riguardo, la fanciulla – da quel giorno in poi – non si azzardò più ad esprimere il proprio gradimento verso il maschio di BB.

Da qui, impariamo un altro principio fondamentale: le donne comunicano attraverso un linguaggio corporeo tutto loro, ma ben compreso da qualsiasi femmina.

Come avrete intuito, l’indagine piaciatoria avviene all’oscuro del pover’uomo per cercare di non arrivare a dire frasette del tipo:

«Chi è quella che ti mette sempre “Mi piace”??»mi-piace

«Certo che je piace proprio tutto, eh!!»

«A cena vacci con quel troione che t’ha messo il cuore sulla foto!!!»

Su signore, manteniamo almeno una dignità apparente!

Va detto anche che lo stalkeraggio avviene nella fase iniziale dell’approccio, per cercare di capire chi abbiamo accanto, se ci sono altre giocatrici in campo e il ruolo che ci è stato affidato in questa partita. Ma quanto serve?

La tecnologia è incrementata e con lei, purtroppo, anche i social network. Sicché, se prima bastava aprire solo “Faccia libro”, ora – per operare un controllo chirurgico – occorre sbirciare anche Twitter, Instagram, Google+… e qualsiasi altro mezzo di socializzazione utilizzi il nostro uomo… In buona sostanza, bisognerebbe dedicarci tutta la giornata.

Il dilemma è quindi scegliere se immolarsi a costanti indagini, o… vivere. Io ho optato per la seconda.

Innanzitutto, poiché sposo il vecchio principio che “Se uno te deve frega’, te frega”, a prescindere dai controlli.

Poi perché sono consapevole che non potrei MAI arrivare a sapere tutto quel che succede al mio lui, con chi parla, con chi si scrive e quante sono ad apprezzarlo, non solo virtualmente.

Per cercare di capire impazzirei ancora di più e comunque rimarrei col dubbio. Non mi resta che fidarmi e affidarmi. Dopotutto anche io pollicio, in modo molto parco, poiché, come noto, non mi trovo bene nei pollai ma prediligo gli alveari, ma – magari inconsciamente – sono oggetto di altrui gelosie, sebbene sia disinteressata.

E, sopra ogni altra cosa, “Mi piaci” preferisco dirlo e sentirmelo dire e per questo sì, che vale la pena spendere il proprio tempo. Ma, se questo non avviene nel reale, tenere sott’occhio il virtuale servirà a ben poco.

 

PS: Ragazze, scusatemi. So bene di aver mentito, ma devo dare un piccolo spiraglio agli uomini, sennò, poverini, questi capiscono di non avere scampo e che saranno sempre soggetti a controlli continui. Non glielo diciamo, che è meglio…

 

A Te.

E a tutte quelle cazzo di polliciate 😉

I PRELIMINARI DEI PRELIMINARI: FASE AFFOLLATA

«Come va col tipo?»

«Quale?»

«Ah giusto, con te bisogna specificare…»

Sghignazzo e trangugio il mio Campari, al nostro solito tavolo del bar, mentre i quattro occhi davanti a me, mi fissano tra il divertito e il preoccupato.

È vero, con me bisogna specificare di quale “tipo” si parli…

Circa una volta l’anno – se sono fortunata anche di più – arriva quella che io chiamo la “Fase Pallottoliere”, denominata così perché è un periodo in cui, per tenere il conto degli uomini che mi ronzano intorno, occorre un pallottoliere.Barbie Bastarda (22)

L’apice l’ho raggiunto – non lo scorderò mai – nella primavera/estate del 2013, avevo a che fare con più di una ventina di uomini contemporaneamente. Ora, devo precisare che “l’avere a che fare” non comprende necessariamente uno scambio di fluidi corporei, anzi, per niente! Significa solo che questi gentiluomini orbitano dalle mie parti mentre io cerco di capire chi e se mi interessa davvero.

È divertente perché, appunto, quando le amiche mi chiedono «Come va col tipo?» devono puntualizzare quale sia il maschio in questione.

In questo momento sono in una Fase Pallottoliere composita, in quanto – oltre ai normali casini –  si è aggiunta la ricomparsa un bel po’ di fantasmi che davvero non volevo rivedere. Definizione di “Fantasmi”: persone che hanno fatto parte, a vario titolo, tempo fa della mia vita, con le quali ho interrotto qualsiasi tipo di rapporto civile e incivile (e ci sarà un motivo… ) che proprio non ci tengo a ristabilire (e ci sarà un motivo!!).

C’è uno spettro che non mi abbandona mai, a fasi alterne, ma comunque riesce ad essere una presenza costante e fastidiosa nella mia vita. Quando esco dalla routine, quando tardo o anticipo quei cinque minuti, lo vedo! È come un’enorme congiunzione cosmica che mi dice: «Appena sgarri, ti punisco!» Però mi chiedo sempre per quale caspita di motivo quello frequenti i “miei luoghi”, decisamente fuori mano rispetto a lui. Sa che potrebbe incontrarmi, perché farlo?? Sarà un “caso”?! Comunque è un cafone! Oltre che – chiaramente – un immenso PDM (= Pezzo Di…).

Mi vergogno tanto di provare un tale (ri)sentimento, ma non posso farci niente. Credo sia una delle persone che detesto di più al mondo, solo perché non me la sento di assegnare il primato. Ma, se dovessi farlo, forse lui sarebbe sul gradino più alto del podio.

La colpa non è totalmente sua, io sono stata una cretina ad avergli dato fiducia, due volte. Ok, la prima ci poteva stare, ma la seconda no! Lui è stato bravissimo a illudermi che non era più lo stronzo che avevo conosciuto due anni prima. È stato bravo per mesi, capite? Ci sarebbe cascata chiunque, forse.

Non riesco a perdonarmi e non perdonerò mai lui. Una meschinità così gratuita non è condonabile. Quasi un accanimento e quel che ho subìto l’ultima volta, non lo auguro nemmeno alla mia peggior nemica. Probabilmente in un’altra vita gli ho fatto qualcosa di veramente grave e ora si è vendicato. In questa non voglio rivederlo mai più.

Ma continuo a imbattermi in lui, “per caso”, lui continua a fissarmi e proprio non lo sopporto.

La prima volta che ci eravamo rivisti, lui mi sorprese con un caloroso:

«Ciao!»

Io l’ho fulminato col mio sguardo da SCUSA-COME-CAZZO-TI-PERMETTI-DI-RIVOLGERMI-LA-PAROLA-BRUTTO-STRONZO?!

Da allora, si limita a guardarmi. Comunque, ogni qualvolta lo incrocio, mi manda di traverso la giornata e anche quelle successive e, sì, detesto anche questo. È un gran cafone, no? Ma perché mi fissa??

Qualche giorno fa ha raggiunto l’apice della sua cafonaggine:

l’ho visto nel negozio di fronte al mio, trastullare un passeggino, mentre la compagna (cessissima, ovviamente!) curiosava in giro.

Cafoneee!!!

Cafone per essersi presentato sul mio posto di lavoro, cafonissimo per essersi presentato sul mio posto di lavoro con donna e prole al seguito e, soprattutto, ipercafone per aver procreato, sul serio! L’ultima cosa al mondo che l’umanità necessitasse, era che lui perpetuasse i sui geni! Era troppo! Fanculo al ti-ignoro-non-ti-ho-proprio-visto, dovevo dirgli che era davvero un megasupercafone!! Per tutti i motivi di cui sopra.

Mi sono avventata verso di lui come una furia, pronta a riversargli tutto l’astio accumulato, felice di sfogare finalmente la mia ira e, quando si è voltato a guardarmi – o, meglio, a guardare una pazza furiosa con la bocca aperta dalla quale stava per uscire un «TU! TU SEI UN…» – ho visto che lui… non era lui!!!

Cazzo di miopia! Cazzo di allucinazioni! E adesso che faccio?? A quell’ignaro maschio che stava per subire tutta la mia foga e che mi guardava costernato, ho posto l’unica domanda che – forse – mi avrebbe salvata da un’immane figura di cacca:

«Scusi, sa dirmi dov’è il bagno?»

Mica mi ha risposto, ha scosso la testa guardandomi perplesso e con gli occhi sgranati. Io gli ho mostrato i canini e ho fatto finta di andare via.

Sono totalmente pazza. Un giorno ci penserò e riderò, un giorno ci penserò e riderò …

Fortunatamente, l’Universo mi ha ricompensata facendomi rincontrare uno che, alla fine, mi sta pure simpatico.

Barbie Bastarda (42)È passato qualche anno e, come quando ci eravamo conosciuti, lui mantiene un aspetto che fa ballare l’hully gully ai miei ormoni. Ma, purtroppo, ora, finisce lì.

È che non mi diverte più, non trovo più interessante quel che dice e se uno non mi stimola intellettualmente, se la mia mente non si attiva, gli estrogeni poi smettono di danzare.

L’ormone sbava, ma il neurone asciuga.

Quella sera si è guadagnato – da parte delle mie amiche – il soprannome de “Il Fissatore” perché, niente, non riusciva proprio a staccarmi gli occhi di dosso… E io? Per buona parte del tempo, neanche me ne sono accorta. In effetti, ogni volta che mi voltavo verso la sua direzione, lo trovavo a rimirarmi, gli sorridevo per cortesia, ma finiva lì. Niente danza dell’accoppiamento, niente desiderio di rivederlo da soli, niente di niente. In una parola: “Intrombabile”!

Allora a cosa sarà servito rincontrarlo? Forse proprio a ricordarmi di quelle parole che mi aveva detto – anni fa – che avevo scordato e, magari, a reputarle vere, a credere un pochino di più in me stessa e nelle mie capacità. Forse…

Una delle frasi più belle della mia vita:

«Quando sorridi a qualcuno, lo hai già fregato. Con quella faccia hai il mondo ai tuoi piedi…»

«Sul serio lo pensi??»

«Perché non sai l’effetto che fai quando guardi qualcuno? Non fare la furba con me!»

La gente sopravvaluta di brutto la mia furbizia, la mia autostima e la percezione che ho di me stessa. Meglio così.

Tanto perché il destino infame vuole sempre essere in vantaggio su di me, dopo questo bel pareggio, doveva per forza riservarmi un gran colpo basso.

Grazie a Facebook e le dannatissime amicizie in comune, ho l’occasione di vedere non di rado un altro PDM con la “S” gigantesca. Ogni volta che lo intravedo cerco di ignorarlo, ma – in certi casi – la curiosità ha il sopravvento. Così mi sono ritrovata a contemplare una foto che lo ritraeva in dolce compagnia. Lui che sorrideva. Non dovrebbe essergli concesso sorridere, è un immenso bastardo e non dovrebbe ridere! Ancor di più, sono stata annientata dal commento che aveva avuto cura di lasciare, sotto quel bel quadretto:

«Sono fiero della MIA donna».

Ammetto che mi ha fatto effetto, sia la frase che il saperlo finalmente felice e libero dai demoni che lo infestavano.

Ora non dico che sono felice per lui, perché non sono né falsa, né così nobile d’animo, però… Però, però…

La verità vera è che, leggendolo, ho pensato che è proprio quel che desidero mi dica un uomo. Che sono la SUA donna, che è fiero di me e che lo proclami al mondo intero, senza pudore!

È questo quello che voglio. E quel grandissimo PDM me lo ha fatto capire. Stai a vedere che mi tocca pure ringraziarlo!

Naturalmente, nei giorni successivi, sono stata colta dalla “Sindrome della Cattiva Fidanzata” che si impossessa di te ogni qualvolta vedi un tuo ex con un’altra. Specialmente se invece tu resti zitella. Tale patologia ti fa partorire le più turpi paranoie e congetture che dimostrano in maniera inconfutabile quanto tu sia immeritevole e inadeguata. Perché se lui – lo stronzo manco-tanto-bello di cui fino al secondo prima non te ne fregava più una benemerita cippa lippa – ora è felice e accoppiato, mentre tu sei rimasta sola, è solo perché non sei abbastanza. Svariate varianti sul tema: abbastanza bella, intelligente, simpatica, alta, magra e via dicendo, arrivando ad una totale mortificazione personale che solo una donna come si deve riesce ad attuare.

Col tempo si guarisce. Io devo ancora guarire, ma fa niente. Col tempo si va avanti.

Sempre dalla medesima fonte del (a)social network, un’altra visione “casuale” di un altro Ex in vesti Carnascialesche.

Ora, se posso biasimare me stessa, non ne perdo mai occasione e, a quella vista, il commento delle Voci nella mia testa è stato: «BB, ma tu ti rendi conto che sei stata male per un Minion obeso??»

Esattamente. E pure tanto.

Devo anche sottolineare, che se lo stato di zitellaggine, ops! “Nubiliare” istighi le fanciulle a stare costantemente “in tiro” e curate, agli uomini, quello celibatario prolungato, viceversa, generi uno svaccamento smoderato. Ed era esattamente quel che era accaduto al tipo in questione, perché in effetti più che Minion, visto anche il colore, somigliava maggiormente a Homer Simpson.

E va be’, lo so, sono una stronza. Ma tanto lo sapevate già. E comunque ho detto – come al solito – la verità! (e poi lui se lo merita, ecco).

Ogni tanto mi viene in mente di organizzare una festa a sorpresa alla quale invitare tutti i miei Ex. Vorrei trovarmeli davanti e rivederli uno ad uno. Non so neanche bene perché e a quale scopo, però questa immagine mi diverte.

Io scenderei da una scalinata con un abito lungo con strascico e spacco, di una figaggine indefinibile – ovviamente – sorriderei e li saluterei con un affettuoso:

«Ciao, stronzi!»

Va be’, mica a tutti. A qualcuno «Ciao @€#¥£ğň!!!!»

Magari prima o poi lo faccio…

Ridiamo di cuore. Le mie amiche si divertono un mondo a sentire i miei racconti quasi surreali ed io, si sa, più a riferirli a loro che a viverli.Barbie Bastarda (29)

Sono talmente concentrata nel narrare le mie disavventure, al nostro solito tavolo del bar, che quasi non mi accorgo del segnale di pericolo che mi sta inviando il cervello, con la complicità della coda dell’occhio. La figura appena entrata mi ricorda qualcuno che una volta mi era molto familiare, un viso che ho accarezzato tante volte, ma, no. Non è possibile… Il mio cuore accelerato.

I dubbi me li devo togliere sempre e, con la vaghezza di cui solo le femminucce ben addestrate sono capaci, guardo di sfuggita per sincerarmi dell’identità dell’avventore appena entrato nel bar. Non ci posso credere: lui qui?? Ovviamente è l’ultimo “fantasma” che mi mancava all’appello. Dai non ci credo, è “Scherzi a parte!” Ma non lo è, nemmeno stavolta.

Universo, un giorno io e te dobbiamo fare un bel discorsetto…

«Oddio…»

«Che hai fatto??»

«Non potete neanche immaginare CHI è appena entrato…»

«Chi??»

Replicano la mia medesima mossa vaga e svelta e poi si voltano a bocca aperta verso di me:

«Che ci fa qui??»

«Beve, a quanto pare»

Proprio qui. A cinquanta chilometri da casa sua, nello stesso posto dove io l’ho portato diverse volte.

“Caso”, mi hai rotto abbastanza il caso…

«Visto?? Quando vi dico che l’Universo mi prende per il culo, mi dovete dare retta!! Che ci fa qui?? Perché mi capitano sempre queste cose?? Meno male che stavolta siete presenti, sennò non ci avreste creduto!!»

Annuiscono e mi guardano sbigottite, incapaci di replicare né di confortarmi. Nelle loro facce si legge un enorme: «Eccchecccazzo, però!»

«Mi porti un altro Campari, per favore?? Grazie!»

Devo continuare a parlare, altrimenti mi immobilizzo. So che mi ha vista, lo so. Siamo seduti rivolti l’uno verso l’altra e siamo consapevoli della nostra reciproca presenza disturbante, ma facciamo finta di niente.

Va bene così. Siamo entrambi consci che ci conosciamo,che abbiamo passato del tempo insieme, che ci siamo rivisti oggi “per caso” e che abbiamo scelto di ignorarci, per non guastarci la sacra bevuta. È perfetto.

Forse si è intuito, ma non sono una fan del “Rimaniamo amici”. Chiaramente solo verso coloro che hanno demeritato perfino il mio saluto. Magari non c’è un modo giusto per lasciare qualcuno, ma un comportamento sincero è sempre preferibile e, a posteriori, ci farà essere apprezzati per la nostra onestà.

Sparizioni, bugie, tradimenti & affini, non rientrano nei comportamenti apprezzabili.

A questo proposito mi viene in mente una risposta che diedi a uno anni fa:

«Dai… Rimaniamo amici…»

«Non credo che succederà…»

«Perché no?»

«Quando ci siamo conosciuti tu aspiravi a diventare un mio amico fraterno??»

«Be’ decisamente no!»

«Ci sentiremo, usciremo insieme, se avrò problemi ti chiamerò?»

«Be’… Magari… Non so… Poi vediamo…»

«Non succederà mai. Lo so io e lo sai tu. Quindi non mi dire “rimaniamo amici”, perché io un amico lo vedo, lo sento, ci

parlo. Che vuol dire “rimaniamo amici”? Che quando ci vediamo ci salutiamo? Ma se non ti vedo, non ti sento, non ti parlo, sai che cazzo me ne frega di salutarti quando ti vedo??»

«Lo vedi? Tu sei proprio una stronza!»

«No sono solo sincera!!! Io!!!»

E me ne andai a testa alta dalla sua vita. Adesso però ci salutiamo pure, visto che ho ragione?

Dov’ero rimasta? Quello mi ha fatto perdere il filo!! Ah sì, fantasmi e pallottoliere…

Fantasmi e presenze attuali. Uomini che a vario titolo si affacciano nella mia vita, alcuni ne diventano protagonisti, altri semplici meteore che magari, però, ricordo con affetto.

Quando sono sola e cerco di essere onesta con me stessa, provo a capire se nutro un sincero interesse per qualcuno o se, magari, è solo un apprezzamento e una sorta di “gratitudine” per le carinerie che mi riservano o, peggio, un modo per distrarmi per non vedere il vuoto che c’è.

Non è una prerogativa maschile, anche le donzelle hanno bisogno di un amico che le “intrattenga”. In maniera fin troppo semplicistica, qualcuno potrebbe chiamarlo “Trombamico”, troppo facile, appunto. C’è chi dice che le donne non sappiano scindere il sesso dall’amore, per cui –  una relazione meramente sessuale – sia impensabile; c’è chi lo smentisce categoricamente e poi ci sono le situazioni che non è possibile incasellare in una o nell’altra casistica. Io mi sento di appartenere a quest’ultima.

Che ne sa la gente di quanto ci si possa sentire soli? Che ne sanno di quanto si possa percepire una profonda solitudine anche accanto o sotto qualcuno?

È normale che ogni tanto si desideri un po’ di compagnia… Ma solo finché il dolore lenito non sia maggiore di quello procurato… Perché, sì, stai bene una sera, ma poi? E il giorno dopo? Nessuno lo sa come stai il giorno dopo. Tu sì.

Forse sono arrivata ad un’età che mi impone di ricercare altro e non il solo piacere fisico. È come quando vai per locali e discoteche per una vita, alla fine ti stufi, cerchi altro.

Ci sono, e tanti, quelli che molto delicatamente mi illustrano tutto ciò che vorrebbero farmi. Non mi eccitano né mi colpiscono. Molti pensano che sia frigida. Se per frigidità intendono che il mio corpo ormai reagisce solo ad uno stimolo intellettivo, completo e non solo alla vista, sì, lo sono eccome.

C’è chi, come “Il Dolce” mi ha ricordato come si comporta un maschietto per bene. O c’è altro? C’è chi, come “L’indeciso”, ha forse distratto il mio cuore per un po’. O c’era altro?

C’è chi mi ha detto una delle frasi più stupende e terribili che abbia mai udito:

«Se fossi mia, ti chiuderei in casa perché sarei troppo geloso…»

E chi continua riempirmi di complimenti per ammorbidire il mio cuore:

«Bellissima ragazza mora con uno splendido sorriso…»

Ma io cosa voglio? Chi è importante? Chi fa la differenza nella mia vita?

Quando resto sola e DEVO essere onesta con me stessa, mi accorgo che tutto questo, tutti questi, mi danno un effetto…tiepido. “Tiepido”. Detesto il tiepido in tutto. Sono un’istintiva, un’assolutista, passionale, selvaggia e incontrollata folle e il tiepido non mi appartiene. Rido di cuore, anche in maniera sguaiata, mangio e bevo di gusto, abbraccio con vigore, una tiepida stretta di mano, un tiepido abbraccio, un tiepido sorriso, un tiepido interesse, un tiepido bacio, no. Non fanno per me. Un tiepido sentimento mi ucciderebbe. I sentimenti, come le emozioni  – per definizione – sono scevri dalla razionalità, indi smodati, ridicoli, devastanti. La passionalità non può essere “con moderazione”. Tutto ciò che trascende la ragione, deve essere dotato di slancio, privo di controllo, senno, condizione. Il tiepido non ha nulla a che fare con tutto questo.

Ogni volta che mi sono accontentata del tiepido, mi sono sentita intrappolata e soffocata.

Perciò, ho attuato il comportamento, agli occhi di molti, più insano di tutti: preferire SEMPRE la solitudine, a tutto ciò che sia “tiepido”.

Quindi, alla fine, azzero il pallottoliere e chiudo i giochi. Game over. E resto sola – di nuovo – piuttosto che farmi bastare una tiepida presenza.

Sempre per questo motivo, posso affermare con assoluta certezza di essere follemente, incondizionatamente e totalmente innamorata di LUI. Perché il mio sentimento è privo di basi e raziocinio, fuori da ogni logica, da ogni ragionamento sensato, smodato ed estremamente ridicolo. Esattamente come mi sento quando mi trovo di fronte a LUI: ridicola.

LUI. Niente soprannomi, LUI è semplicemente LUI.

Guardo il telefono, rileggo il SUO messaggio: «Ciao, settimana prossima sono a Roma…»

La settimana è passata, ed io purtroppo non sono riuscita a perdere dieci chili come speravo. Cavolo!

LUI che vedrò domani. Sorrido e sorseggio assaporando il liquore corposo, ma pregustando il suo di sapore. Riesco anche a sentire il suo profumo e a vedere il suo splendido sorriso.

Sono così assorta, che, ancora una volta, percepisco in ritardo quello che sta accadendo. La figura che avanza verso di me. Forse non sta succedendo veramente… Sì, invece.

Sento un: «Ciao… Come stai?» ma non riesco a voltarmi e non voglio farlo. Sono paralizzata.

Lo ignoro. Magari funziona come con gli omini delle rose che, se non gli rispondi, poi se ne vanno.

Lui no, lui insiste.

«Come stai?» e mi sfiora il braccio. Mi volto e lo guardo, lui mi sfodera un sorriso dolce, io perdo il mio. Ciao, Fantasma!

Come sto? Ora ti interessa sapere come sto? Sono due anni che non sai come sto! Puoi solo immaginare come sono stata e ora diventi premuroso? Ma che cazzo vuoi?? Ti aspetti che ti saluti con slancio? Che ti getti le braccia al collo, in memoria dei bei tempi andati? Non riesco a rispondere e continuo a fissarlo… Lui mi incalza con un: «Ti ho vista adesso…» Bugiardo! Mi hai vista non appena sei entrato! Esattamente come è successo a me! Sei rimasto seduto con una finta paresi sul lato sinistro del corpo per evitare di incrociare il mio sguardo. Potevi pure guardarmi, sai? Non ti avrei detto nulla. Non ho più nulla da dirti. Tu ormai sei solo uno che una volta conoscevo…

Mi hai baciata e abbracciata, non so quante volte. Ho pianto per te e con te e ho visto i tuoi occhi lucidi. Hai ancora la collana che ho scordato a casa tua. Ho conservato per molto tempo la ricevuta di quella cena e mi hai detto tante di quelle bugie che non ti perdonerò mai. Poi mi hai cancellata in un attimo e neanche questo riesco a dimenticare.

Perché sei venuto qui? Non potevi continuare a ignorarmi? Perché hai voluto per forza parlarmi?

È una violenza, è egoismo. Avevi bisogno di affrontarmi, senza curarti del fatto che io non avessi il minimo interesse a farlo. È una violenza, è egoismo.

Ci fissiamo muti, ma con gli occhi parlanti, per degli interminabili istanti. Poi, finalmente, riesco a rispondere un secco e asciutto:

«Bene, sto bene. Grazie»

Sono strane le emozioni, comandano loro e tu non puoi farci davvero niente. Ti trovi “per caso” davanti a qualcuno e, in un attimo, ne provi talmente tante tutte insieme che aspetti solo che ne prevalga una per decidere come comportarti. È difficile quando ti imbatti in qualcuno a cui hai voluto bene, quello vero. Il primo istinto sarebbe quello di abbracciare questa persona, iniziare a ricordare quello che avete fatto insieme, ridere e magari dirle che le hai voluto bene con tutto il cuore e che una parte di te gliene vorrà per sempre. Ma poi… Senti un’altra emozione, soffocante, che ti ricorda che hai messo un muro, alto, invalicabile, costruito con mattoni fatti di fiducia mal riposta, svariate delusioni, lacrime, consapevolezza che forse quel bene profondo lo provavi solo tu… E in quel lunghissimo secondo capisci che non dirai null’altro che una parola di circostanza, veloce, squallida e detta senza sorriso, né sentimento. È la cosa giusta, non potevi dire altro, non meritava che dicessi altro. Lo sa molto bene perché ora ti comporti così. È giusto.
…Ma allora perché mi sento così di schifo?

Mi guarda con affetto, con una dolcezza che sa che merito, probabilmente in cerca di un cenno di assoluzione che, forse, non sono ancora pronta a concedergli.

«Mi fa piacere che stai bene…»

Annuisco. Esattamente come era accaduto con “l’Indeciso”, il galateo avrebbe imposto la contro domanda: «E tu come stai?» Ma non vedo l’ora di chiudere lì la conversazione.

Mi sorride un’ultima volta e si congeda con un: «Ciao…» non sono ben sicura di avergli risposto…

Come un’ulteriore, assurda coincidenza, sento distintamente alla radio:

«…now you’re just somebody what I used to know… »

Cerco di riprendermi.

«Che stavo dicendo?» avevo dimenticato di non essere seduta da sola. Loro mi guardano mute, incredule quasi più di me. Deve essere stata una gran scena, vista dal di fuori. Peccato che me la sono persa!

Mi assicuro di non essere più alla portata della sua vista e mi accascio sul tavolo.Barbie Bastarda (38)

«Oddio, mi manca il fiato!»

Ansimo. Il mio cuore accelerato.

«Cioè, hai visto il modo in cui ti guardava??»

«Allora non era una mia impressione…»

Loro parlano, io non riesco nemmeno a respirare…

«Comunque non si è regolato, come si è permesso di venire a salutarti?»

«Ma che dici?? Era il minimo che potesse fare! La incontra, dopo quello che le ha fatto e oltretutto non la saluta nemmeno??»

«Ha finto finora di non averla vista, poteva continuare!»

«Sarà stato anche imbarazzato! Gli ci è voluto un gran coraggio per venire qui!»

Loro continuano, io mi chiedo quale sia davvero il comportamento “giusto” e non riesco a rispondermi. Ero sconvolta per il solo fatto di averlo visto, ma ora… Non si può descrivere come mi sento.

Qualcuno mi diceva: «Il passato è bello perché è passato!» ma è difficile quando continua a riproporsi. O si ripeterà finché non imparerò qualcosa? Una lezione? Di una sono certamente consapevole: tornano TUTTI.

Poi, inevitabilmente, considero quanto sia terribilmente triste che, una persona alla quale hai voluto bene, ora ti crei un incredibile disagio. Che, piuttosto, desideri non vederla né parlarle mai più. “Mai più”. Due parole che insieme mi fanno davvero paura. A quanto, il rancore che ti porti dentro, sia nocivo e tossico e ti distrugga lentamente.

È giusto così? O si deve subito perdonare e dimenticare? Ma tu ci riesci sul serio…? E perché mi capitano tutti stronzi patentati? È colpa mia? È colpa mia. È colpa mia…

Balbetto un:

«C’è qualcosa che non va in me…»

«In teee??? Sei mattaaa??»

«Tesoro, sei solo sfortunata!»

«No… Io non… No… Non ce la faccio…»

Forse non sono così folle a preferire la solitudine. Forse siamo completamente folli se decidiamo di rivivere tutto questo.

Devo vomitare.

E domani vedrò LUI. LUI che amo e che mi fa sentire ridicola.

LUI.

No. Non ce la posso fare…

 

 

«I’ve kissed your lips and held your hand

Shared your dreams and shared your bed

I know you well, I know your smeel

I’ve been addicted to you…

Goodbye my lover, goodbye my friend…»

J. Blunt

«Restare aggrappati alla rabbia è come tenere in pugno un tizzone ardente per lanciarlo contro qualcuno.

Chi si brucia sei tu».

Buddha

 

Ai miei “fantasmi”,

io vi lascio andare, fatelo anche voi. Grazie…

I “Preliminari dei Preliminari” I Parte QUI

I “Preliminari dei Preliminari” II Parte QUI

I “Preliminari dei Preliminari” III Parte QUI

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ALL-IN OR FOLD?

Andare “All-In”, per i pochi che non hanno dimestichezza col poker, significa giocarsi tutto. Al contrario “Fold” vuol dire rinunciare a giocare.1610003_10152240713240549_1836993947_n

Ho sempre pensato ci fosse una grandiosa similitudine tra la vita e una partita di poker…

Anche nella vita bisogna avere le carte, ma soprattutto bisogna saperle giocare.

La mano che pensavi sicuramente vincente, sulla quale hai investito tutto quel che avevi e che invece alla fine quel tutto te l’ha fatto perdere, insieme alla voglia di giocare.

Oppure la mano iniziata male, su cui non avresti puntato niente, che hai giocato così dicendo «Ma sì, ci provo. Vediamo come va, anche se non è partita bene…» che poi invece, inaspettatamente, risulta essere la mano della tua vita.

O la partita perfetta, quella che ti sognavi la notte, quelle carte, quella fortuna, quei rilanci, quell’abilità, apparente frutto dell’esperienza, quella matematica favorevole, quell’istinto, e poi quell’autocontrollo, cercando di non tiltare. È perfetta. È lì e ce l’hai in pugno, è talmente bella da non sembrare neanche reale. Appunto. E se non lo fosse? Se alla fine si rivelasse solo un’illusione? Meglio rilanciare o lasciar perdere prima che si concretizzi la delusione? «Tanto ne verrà una migliore…»

Quante volte l’hai visto? Pensaci.fold-equity ed

A me è capitato di lasciare. Poi, anche per convincere me stessa, mi sono ripetuta che, in fondo, non era poi una partita così speciale e non mi interessava poi tanto.

Sul tavolo da gioco, come nella vita, mi sono ritrovata a pensare se mai incontrerò qualcuno per cui valga la pena andare All-In e poi mi sono subito chiesta, o è il contrario? O il segreto è giocarsi tutto sempre e a prescindere?

Come si raggiungono i risultati grandiosi?

Quelli che vincono sempre, hanno semplicemente in sorte carte migliori, o sono più bravi a sapersele giocare?

Se punti tutto e perdi c’è la possibilità che tu rimanga senza niente e se invece vinci? Se non giochi non lo scoprirai mai…

Il rischio è alto. Se hai perso tanto le cose sono due: o continui sempre a giocare e a investire, per cercare di coprire la perdita e ricostruire una fortuna, o ti ritiri con i tuoi pochi averi per mantenere intatti almeno quelli.

All-In or Fold?

Non so voi, ma io, quando è possibile, lo faccio sempre: se rinuncio a giocare controllo le carte che la sorte mi avrebbe fatto arrivare. Mi capita di dire «Ho fatto bene a lasciare…» però con un po’ di amarezza. Perché comunque è l’adrenalina del gioco, del tentare la fortuna, dell’ignoto che ci fa sentire vivi… Invece nove volte su dieci, mi mordo le mani: «Cavolo, avrei dovuto puntare tutto!».

Facile dopo, vero? Se avessimo la certezza del risultato sarebbe tutto più semplice! E se la vita ci donasse un’anteprima del “Cosa accadrà” non avremmo mai esitazioni!

“Se”… Ma nella vita, non c’è spazio per i “Se”. O giochi, o non lo fai.

Per il calcolo delle probabilità pensi che la fortuna arrivi solo una volta e chi lo dice che sia quella giusta? E invece chi lo dice che sia solo una volta?

Se lasci non lo scoprirai, se giochi rischi tanto, rischi perfino di vincere!Best Holdem Poker Cards

Ma bisogna comunque giocare.

E rischiare.

Ma giocare.

Gioca con moderazione, Ama e vivi smodatamente, incondizionatamente e con passione…

…All-In!

 

 

“Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
e rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
e  perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita. (…)

Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
e – quel che più conta –  sarai un Uomo, figlio mio!”

R. Kipling.

I PRELIMINARI DEI PRELIMINARI: FASE AVARIATA

«Che cosa hai fattooo??»

Ecco, poi si lamentano quando non racconto loro le cose! Ma è normale che lo faccia, subito parte un terzo grado che mi fa rimpiangere la maturità e ho detto tutto!

«No, non urliamole contro sennò si blocca e non ci dice più niente»Barbie Bastarda (34)

Mi conoscono proprio bene, non c’è che dire.

«Ci dici per favore cosa è successo? Cosa TI è successo?? Come sia possibile che TU abbia fatto tutto quello che hai fattooo?? Non è da te!»

«Mi porti un altro Campari, per favore?»

«Brava, bevi così poi ci racconti…»

Uff… “Non è da me”, in questi giorni sto riflettendo su questa frase, in effetti l‘ho usata anche io su me stessa. Ma poi chi lo dice quello che è “da me” e quello che non lo è?? Però, in verità, comportarmi non in maniera abituale mi è piaciuto, parecchio pure. Mi sono sentita viva, mi ha risvegliata. Forse è questo il famoso “cambiare strada per vedere nuovi paesaggi”. Già. “Non è da me”. Eppure lo rifarei, eccome se lo rifarei e ha scatenato una serie di eventi che non avevo proprio previsto, ma dei quali avevo bisogno. Perché…

Oh ecco il bicchiere della mia salvezza,

«Ci dici cosa è successo? E non uscirtene con il tuo solito “Io non ho fatto niente”!»

«Ma io non ho fatto niente, davvero! Io sono vittima degli eventi!!»

È la mia battuta preferita, adoro pronunciarla. Ma niente, vogliono sapere tutto. Eppure, parzialmente, ho già confessato. Nella nostra chattina di WhatsApp, appena commesso il fatto, ho mandato loro dei maialini abbastanza esplicativi. Loro giù domande e qualcosa ho dovuto scrivere, sennò me le trovavo sotto casa.

Ah ovviamente hanno provato anche a chiamarmi, ma non ho mai risposto e mi sono data latitante per giorni interi.

Oggi mi tocca, devo confessare per bene.

Iniziamo…

Avete presente quando siete in vacanza, conoscete qualcuno di zona, instaurate il classico filarino estivo e poi decidete – una volta rientrati – di rivedervi? Capita che ci si incontri una o due volte, tanto per illudersi di essere ancora in ferie e poi tendenzialmente si torni alle proprie vite.

Io? Ma scherzate?? Sono troppo asociale e stronza per fare queste cose. Anche per questo, quello che sto per dire, è stato giudicato “Non da me”… È successo a una mia amica. Per la prima uscita post vacanze, hanno preferito non essere soli. Lui ha detto che avrebbe portato due compari, giusto per non farla sembrare proprio un’uscita a quattro e lei ha deciso di portare me, l’unica che poteva tener testa a due uomini, mentre lei si spupazzava l’amore estivo.

Questo è esattamente quello che è accaduto. I due piccioncini tubavano, mentre io cercavo di destreggiarmi tra due ometti parecchio diversi tra loro. Uno notevolmente figo, ma che non ero riuscita ad inquadrare bene e l’altro brutto e antipatico. Ecco. Magari non sei bellissimo, ma è piacevole parlarti, capita spesso. Prediligo di gran lunga questa compagnia a quella dei figoni mononeuronici. Invece no, questo oltre ad essere cesso era anche irritante e fastidioso.

Ero riuscita a non rispondergli parecchio male per tutta la sera – per evitare di presentarmi subito – mentre l’amico interveniva poco, ma senza mai dire una parola fuori posto, finché il cesso non ha deciso che doveva proprio dirmi quel che pensava di me. Ammiro le persone che hanno la supponenza di giudicare tutti dopo pochi minuti, la presunzione di sapere esattamente, e senza appello, chi sei, quali siano i tuoi problemi e le tue mancanze. Se non mi stessero così sulle palle, li ammirerei tantissimo.

«Quelle come te sono odiose!! Se la tirano, sono altezzose, acide e non te la danno mai! Le detesto quelle come te!» L’ho lasciato continuare, per vedere quante riuscisse a tirarne fuori. Quando mi sono scocciata, neanche la soddisfazione e il tempo di replicare con un: «Dubito che ci sia qualcuna disposta a dartela, non necessariamente “come me”» e, soprattutto con un: «Quelle come me, quelli come te li mandano affanculo!» che il figo ha bloccato il vomito di improperi da parte dell’amico che gli sedeva a fianco. Prima mettendogli una mano sul braccio, poi con un’occhiataccia e poi con un perentorio: «Basta! Smettila!» Giuro che ho pensato che lo picchiasse e credo di aver sperato che lo facesse. Poi ha risposto a quel che diceva lui guardando fisso me negli occhi.

«No, non è così. Lei è dolcissima…» E con quel solo gesto e quelle parole mi ha conquistata.
Non so come riescano certe persone a guardarti così bene dentro e a scorgere la tua intima essenza. Lui ci è riuscito subito. A poco sono valse le mie deboli proteste:

«Dolce io?? Tsè… Ti sbagli non lo sono affatto. Non farti ingannare dagli occhioni da cerbiatta… »

Mi guardava sorridendo con quell’aria insopportabile da «Sì, sì, come no» odio quando lo fanno!

In quel preciso istante ero pure consapevole di tutto quello che sarebbe successo dopo. Anche se non era “da me”.

Per il resto della serata, abbiamo scordato che ci fossero anche gli altri tre. Eravamo lui ed io, le nostre parole e i nostri sguardi.

A fine uscita, si è concretizzato quello che sapevo sarebbe successo:

«Ti va di farci un giro?»

«Ehm…»

Le voci nella mia testa – ovviamente – avevano aperto una conferenza:

«Scusa, ma dove vaiii??? Neanche lo conosciiii!!»

«Sììì!! Andiamo! Andiamo! Che mi sta così simpatico!»

«Uhm non mi convince molto…»

«A me sì! È figo, dolce e simpatico! Ma che vuoi di più?!»    

«Sì, certo che mi va… »

Ammetto che provavo un discreto disagio. In effetti non era comportamento “da me” andarmene in giro di notte con un tizio appena conosciuto e anche lucidamente consapevole di dove mi avrebbe condotta e perché, ma mi sentivo così bene…

«Perché hai detto che sono dolce? Io non sono dolce!»Barbie Bastarda (14)

«Ma piantala!»

«Ero dolce, una volta, ora ho solo un sacco di dolcezza andata a male… »

«Ma qualcuno ci crede davvero quando lo dici?»

«Certo, perché è vero! Non capis…»

Mi ha chiuso dolcemente la bocca con un bacio.

«E se stasera non ti riporto a casa?»

Di nuovo, l’assemblea nella mia testa:

«Che cosaaa??? Ma che diceee?? Ma non sarai così folle da andarci, vero?? Neanche lo conosciiii!!»

«Sììì!! Andiamo! Andiamooo!!»

«Ma poi contravvieni alla regola aurea del non concederti subito!!»

«Ma che ci fregaaa!! Per una voltaaa!! Si vive una volta sola, ecco!! E poi abbiamo visto dove ci ha portato fare sempre le brave ragazze!!»

Mi aveva smascherata, tanto valeva mostrare la mia vera natura e farmi coccolare:

«…Però se dormiamo insieme mi devi abbracciare tutta la notte… »

«Che cosaaa?? Tu gli hai detto una cosa del genereee?? TUUU??»

Uffa! O racconto o mi interrompete! Senti che commento del cavolo, poi! Come se io fossi un’algida, insensibile, fredda, stronza! Lo sono, ma mica sempre!

«…certo che ti abbraccio. Era mia intenzione stringerti tutta la notte…»

Ed è esattamente quello che ha fatto.

Ecco, ho confessato, ora sapete tutto. Che “Non è da me” fare certe cose l’ho già detto??

Che mi è strapiaciuto tutto, anche??

Niente “Preliminari dei Preliminari”, niente studio, niente congetture, niente paranoie. Possibile sia così semplice e senza stress? Sì, fantastico!

E poi cosa è successo? Vi chiederete voi…

Quel che era abbastanza prevedibile…

A volte esiste un tacito accordo secondo il quale due vite sono destinate ad incrociarsi per un brevissimo e intenso istante, poi ognuno riprende la propria come se nulla fosse e come se non fosse mai successo.
Un tacito accordo secondo il quale è meglio non sentirsi è meglio tornare sconosciuti. È sicuramente più semplice.

Col cazzo.

La logica, l’esperienza, i precedenti pessimi incontri, mi avevano fatto pensare che non ci saremmo visti, né sentiti, mai più, perché è così che vanno queste cose. Perché lui aveva già ottenuto il risultato, io ero una sgualdrina che si era concessa subito, quindi che motivo c’era di mantenere un rapporto? Questo è quello che mi aspettavo.

Quello che assolutamente non mi sarei mai aspettata, è stato quello che, effettivamente, è successo dopo.

DOLCEZZA. Questa sconosciuta.

L’aver raggiunto l’obiettivo, non gli è bastato per sparire ed evitarmi, per niente.

Ci tiene a scrivermi, a chiamarmi, a darmi il buongiorno, a vezzeggiarmi, tutti gesti ai quali non sono affatto abituata.

Mentre io mi chiedo: «Che succede?» cercando di capirci qualcosa. Possibile che non sia il solito stronzo che sparisce il giorno dopo? Possibile che sia realmente interessato a me?? Possibile che avverta l’esigenza di sentirmi, che non si scordi di me nonostante non ci siamo più visti?? Possibile che gli manchi davvero?? Possibile, sennò non avrebbe senso continuare a mantenere un contatto, no? Boh!

Ma è davvero possibile?

DOLCEZZA. Questa sconosciuta.

Triste verità: siamo diventati talmente cinici e disincantati, da guardare con diffidenza spontanei gesti di dolcezza. Cercando ad ogni costo la fregatura, ponendo resistenza a oltranza e scoraggiando i portatori sani di gentilezza. Per fortuna c’è ancora chi non si arrende e cerca in ogni modo di scavalcare il nostro muro…
Vorrei… Ehm… Potrei quasi abituarmi alla dolcezza… Quasi… Ma non so se lo ammetterò mai…

Forse avevo bisogno di questo, di capire che uomini carini e gentili ne esistono ancora. Perché non dargli una possibilità?

Mentre io mi nascondo dietro il mio bel muro, lui si sporge dall’alto per tirarmi fuori a suon di gesti amorevoli che non contraccambio per intero. Non che lo tratti male, intendiamoci, anzi! Però se lui è a livello dolcezza dieci, io mi assesto sul sei, appena sufficiente. Non ce la faccio, capite? Ho pau… no, che dico? Sono diffidente, sì. Poi quando mi sciolgo rimango sempre fregata, quindi è difficile farlo. Nonostante questo, lui continua…

E, lo ammetto, anche se fingo di non accorgermene, ogni tanto mi chiama “Amore”…

«Io non mi stupisco tanto del fatto che lui ti chiami “Amore”, rimango basita che TU glielo permetta senza ribellarti! Ma non è che glielo dici pure tu??»

«No, va be’! Adesso non esageriamo!»

«Ah ecco, ora ti riconosciamo…»

Ecco, senti che altro commento del cavolo! Come se io fossi una specie di aliena incapace di “Amoare” qualcuno.

Amore. Io ho molto rispetto della parola “Amore”. In realtà ho un assoluto rispetto (timore) dell’Amore in generale.

Per questo credo che il termine “Amore” sia troppo abusato. Ci si chiama “Amore” tra amici, amiche, si dice “Ti Amo” con estrema leggerezza. Non chiamo i miei amici “Amore” e non dico loro che li amo, anche se in realtà amo più loro di qualsiasi uomo. Perché penso che se un giorno riuscirò a chiamare qualcuno “Amore” lo sarà veramente, Il mio “Amore”. E quindi avrà maggior significato visto che ne ho fatto un uso così parco.

Eppure una volta c’è stato un Lui che chiamavo Amore, tempo fa. Così intenso, ma così breve, da non aver avuto neanche il (dis)piacere di presentarlo alle amichette. A dimostrazione della mia devozione, un episodio del quale non vado per niente fiera, ma che prova che anche le migliori possono sbagliare. Ricordo perfettamente il giorno in cui arrivai al bar con un tremendo nuntio vobis:

«Ragazze ho fatto una cosa per la quale potrete prendermi in giro per il resto della vita…»

Loro hanno sgranato gli occhi, incuriosite e ansiose:

«Che hai fattooo??»

«Ehm… ho fatto quella cosa… quella… ehm… quella, dai! Quella cosa del telefono… due… chiamate… gratis… Ehm… Dai, quella lì!»

Continuavano a fissarmi come se non avessero proprio idea di cosa stessi parlando. Stronze. Avevano già capito, ma – niente – dovevamo proprio sentirmelo dire!

«You & Me!! Ho fatto You & Me con LUI! Questa cosa da “coppia” così facciamo pucci pucci gratis per telefono!!  Ooohhh, l’ho detto!!»

Ero totalmente presa da uno, tanto da fare questa cosuccia da fidanzatini adolescenti  e pure alla Tim lo sapevano. Che vergogna.

Ero proprio innam… va be’ quella cosa lì. Cotta e stracotta, ridotta a fare «Attacca tu, no attacco io» per telefono, tanto è gratis.

L’atroce beffa è che ho ancora quel numero come “preferito”. Il motivo? Ti chiedono cinque euro per cambiare la scelta del candidato, capito? Quanto costa un’umiliazione? Cinque euro. E poi non ho aspiranti “You” da inserire, quindi – per il momento – mi tocca tenermelo.  Gli amori passano, le tariffe restano, che mestizia!

Comunque è stata l’ultima volta che mi hanno sentito chiamare “Ammmoooreee” qualcuno.

Un anno e mezzo di aridità sentimentale, passato a dire sistematicamente «No!» a qualsiasi tipo d invito.

«Ti andrebbe un…»

«No!»

«Posso offrirti un… »

«No!»

«Ti va se qualche volta ci…»

«No!»

Un anno e mezzo di rassegnazione: «Ho chiuso coi sentimenti, basta. Tanto va sempre tutto male e io sto bene così… Da sola…»

Finchè un giorno, dopo svariati mesi passati così, una delle voci che abitano la mia testa si era fatta portavoce di tutte le altre per affrontarmi:

«Senti, noi ti dobbiamo dire una cosa… E, dopo che te l’avrò detta, tu negherai e protesterai, però non possiamo più fare finta di niente. Senti… Mi sa che questo ci piace…»

«Ma nooooooo…»

«Tanto sapevamo già la risposta, sei prevedibile e noi ti conosciamo bene, ma tranquilla non lo diciamo a nessuno».

“Questo”, l’ultimo, ve lo ricordate? Lui mi piaceva tanto, ma tanto. Generalmente la quantità di interesse che provo nei confronti di una persona è direttamente proporzionale al numero dei MAVVVAFFA che mi fa pronunciare. Lui… Lo adoravo!! Finché non ho pronunciato quello definitivo e per me il caso si è chiuso.

Lui ha continuato a mandarmi qualche messaggio saltuario. Capito?? Che me ne faccio di qualche messaggino ogni tanto?? Ma non sa chi sono io?? Io sono l’inventrice della “Teoria della Pagotta” checccazzo! Basta briciole, vogliamo la PAGNOTTA!! Continuava a propinarvi bocconcini e io ho detto basta. Sono stata brava, no?

Potrei fare l’elenco di tutte le cose carine, e sono tante, che ha fatto per me. Le ricordo tutte. Però non mi bastavano, voglio sicuramente di più e lui non poteva o non voleva darmelo. Pazienza. Nonostante questo, sento di volergli bene, tanto, non potrebbe essere altrimenti. Ma bene e basta. Sul film romantico che ci vedeva protagonisti, sono definitivamente scesi i titoli di coda. E forse non saprò mai se l’avevo interpretato solo io o anche lui.

Ok, ok, non li posso chiamare tutti “Lui”, questo è “Un-passo-avanti-cento-indietro”AKA “Non-lo-so-manco-io-quello-che-voglio”AKA “Oggi-ti-amo-domani-scusa-chi-sei”  o, per semplicità, “L’Indeciso”.

L’altro lo chiameremo “Il Dolce”, ok? Perfetto! In fondo i soprannomi sono il mio forte.

Hanno ascoltato con attenzione tutto il racconto, ora arrivo il momento in cui mi dicono la loro. Sono pronta.

«Comunque è bellissimo quello che ti è successo, lui è carinissimo, io gli darei una possibilità!»

«Non era previsto… Non è… Non lo so!»

«Scusa, cos’hai da perdere?»

Eccola qua, la domanda più insidiosa e stronza del mondo. La risposta non è “Niente”, la risposta esatta è: ho da perdere quei quattro, cinque grammi di fiducia in me stessa e nel genere umano che mi sono rimasti; ho da perdere, per l’ennesima volta, l’illusione che certe volte le cose non sono complicate, ma funzionano da sole; ho da perdere nuovamente il sorriso ritrovato; ho da perdere quelle tre, quattro file di mattoni che ho tolto dal mio muro al “Dolce”, con il timore che, se va male, stavolta non lo abbasserò davvero più per nessuno. Ecco cos’ho da perdere.

«…Tanto c’è da perdere…»

«Sì, ma per una volta potresti anche guadagnare un briciolo di felicità, non ci hai pensato?»

Cazzo, mi danno sempre queste risposte ad effetto che mi destabilizzano.

Stritolo con i denti la cannuccia e alzo gli occhi.

Agrodolce

Al nostro tavolo del bar, una mia amica fissa il vuoto pensierosa:

«Cos’hai?» le chiedo «Ti ho annoiata, vero?? Lo so che poi vi ammorbo, stilo paranoie, congetture e vi sfinisco!»

«No, non è quello…»

«Allora cos’hai?»

È pensierosa e un po’ imbronciata, mentre si gira con le dita la fedina che campeggia sull’anulare sinistro.

«Pensavo solo che… la tua vita è così eccitante, la mia ormai… abbastanza monotona…»

Sorrido e, senza neanche fermarmi a pensarci, replico:

«Eccitante?! Io mi diverto più a raccontarle a voi queste cose che a viverle. La tua vita non è affatto monotona, tu hai la felicità vera, vuoi mettere?»

Mi guarda e mi sorride. Deve essersi ricordata che è vero, è felice e appagata e il mondo qua fori è tutto fuorché eccitante.

Missione compiuta: ho soddisfatto la loro curiosità e fatto tornare il sorriso ad un’amica. Ora posso anche congedarmi.

«Ragazze io vado via…»

Ho bisogno di schiarirmi le idee e stramene un po’ da sola. Inforco gli occhiali da sole e la strada verso casa, a testa bassa, mirandomi il tacco dodici. Inizia a fare freddino, se fossi una di quelle donnine melense, direi che vorrei essere scaldata da un suo abbraccio, come è già successo:

«Ho tanto freddo…»

«Ti scaldo io…»

Cavolo non riesco a smettere di pensarci, ma…

«Ciao!»

Alzo la testa. No, non è possibile!!

Gli uomini hanno un talento incredibile nel ricomparire nella tua vita quando sanno che non li pensi più. Come ci riescono?? Hanno un radar?? Qualche neurone fa la spia?? Ma come è possibile??

Colui che occupava i miei pensieri in maniera costante, che mi ha fatto passare ore intere a rimuginare sui suoi comportamenti, mi si palesa davanti e io quasi non me ne accorgo. Signori, “L’Indeciso” è qui!

«Ciao…»

«Come stai?»

«Bene…»

Si aspettava un «E tu?» Lo so che se lo aspettava. E a me non va di chiederglielo, ok??

«Si vede… Ti trovo bene…»

«Grazie… Ehm… Scusa, devo proprio andare…»

Abbozzo un sorriso, abbasso la testa e riprendo la mia strada. Niente, non ho più niente da dirti, avrei voluto, avrei sperato, avrei pensato, ma i condizionali non fanno proprio per me…

«Mi manchi…»

Mi volto a guardarlo, ho capito male, ho sognato sicuramente. Lui mi fissa serio. Ho immaginato tutto, non c’è dubbio, ma lui continua a scrutarmi aspettando un mio gesto. L’avrà detto davvero? Come se leggesse il mio pensiero lui risponde:

«Davvero, mi manchi tanto BB…»

Quanto dura un secondo? Ovvio, un secondo. Ma, a volte, può sembrare interminabile e in quel solo secondo una miriade di pensieri mi scorrono nella testa.

Ti rendi conto di quanto tempo ho passato sperando in una frase del genere?? In un qualcosa che mi facesse capire che il tuo interesse verso di me era reale e non solo una creazione della mia testa?? Quanto ho aspettato che ti esponessi di più?? Poi dico “Basta!” e tu mi dici che ti manco?? Poiché ora mi hai persa e non ci sono più?? MA PERCHÉ CAPITA SEMPRE COSÌ???

Lo fisso incapace di replicare, non so neanche cosa dire, alla fine un flebile mugolio balbetta un:

«…grazie…»

Che risposta è “Grazie”?? Va be’, mi è uscita questa, mi volto e me ne vado quasi correndo.

Quando lo racconterò alle mie amiche, non ci crederanno.

Arrivo fino a casa completamente confusa, ma sicura della scelta che ho fatto. Caso chiuso, cuore anche. Non posso tornare ad essere una bambolina in preda delle emozioni, manovrata da lui e i suoi umori. Non posso più permetterlo.

Tante immagini sono comparse nella mia mente, “L’indeciso”, contrapposto al “Dolce”, ricordi, speranze, delusioni, tutto insieme, tutto e troppo. Ho pensato troppo. Ho ignorato perfino lo squillo ripetuto del telefono.

Prendo coraggio e lo guardo. TRE messaggi.Barbie Bastarda (35)

“Il Dolce” dice: «Mi manchi, ti voglio vedere, domani sono da te» Che carino!!

“L’Indeciso” risponde: «Spero di rivederti presto…» Ovviamente non prende mai posizione e si affida al “Caso”!!

E poi LUI: «Ciao, settimana prossima sono a Roma…» …Oh Cazzo!!

Devo vomitare…

 

 

A TE: ho poche certezze nella vita,

ma una di queste sei tu SISTER! Ti lovvo!!

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