E POI…

E poi mi avresti detto che quella gonna mi stava davvero bene.

Io ti avrei ringraziato col mio sorriso più bello, abbassando la testa. Mi imbarazzano i complimenti, lo sai. Almeno quanto mi fanno piacere.

Oppure avrei ammazzato il momento facendo una battuta per togliermi dal disagio. Devo imparare a incassare gli apprezzamenti. Lo so, lo sai…

E poi mi avresti avvicinata a te prendendomi la mano. E io avrei continuato a sorridere.

Quindi ci saremmo incamminati vicini e mano per mano. Discutendo su qualcuna di quelle banalità che si usano per colmare i silenzi, per intrattenere.

Mentre entrambi saremmo stati assorti a pensare a qualcos’altro.

Io, ad abbracciarti, tu – con ogni probabilità –  a qualcosa di più spinto.

E poi avremmo riso molto.

Pensando a noi, mi figuro sempre una gara di umorismo e tanta ilarità.

Sai quello stuzzicamento delizioso che stimola il gioco, l’eccitazione e la complicità? Proprio quello.

Magari io avrei fatto finta di prendermela e tu saresti stato col dubbio se stessi scherzando o meno. Sono brava in questo. Ci caschi spesso.

E poi avremmo cercato un locale carino, non molto affollato, senza pretese, ma grazioso. Un po’ nascosto, non sfacciato, né scintillante, però accogliente.

Intimo.

Entrando, ci saremmo sentiti addosso gli sguardi degli altri avventori e tu mi avresti fatto l’occhiolino per distrarmi.

Ci saremmo accomodati e avremmo cazzeggiato col cameriere.

Sarebbe venuto almeno due o tre volte perché, troppo intenti a chiacchierare, ci saremmo scordati di guardare i menu.

Mi avresti presa in giro sul mio essere “erbivora” e io mi sarei tappata le orecchie, simulando di non ascoltarti nemmeno.

Ti avrei fatto perfino scegliere il vino senza interferire, pensa.

E poi avremmo brindato.

Alla salute, a noi, alle stelle, al cielo magnifico di quella sera, al vino designato, al locale, al cameriere, ai vicini di tavolo che scherzavano con noi, al cibo, alla felicità, alla vita, all’amore.

E poi avremmo parlato.

Tanto, troppo e di tutto. Per via delle nostre effervescenti menti aperte. Che poi è una definizione che non mi piace perché oltremodo abusata. Per via delle nostre effervescenti menti curiose. Sì, curiose. Con la nostra curiosità che ci spinge al sapere, alla conoscenza e al voler condividere e imparare.

E poi avremmo percepito la sensazione di perfezione che raramente riesci a provare. L’appagamento. La sicurezza che non vorresti essere in nessun altro posto e con nessun altro al mondo.

Quei momenti sincronici durante i quali ogni singolo tassello si incastra perfettamente al tutto, formando degli attimi di assoluto splendore e puro piacere.

Piacere di ogni fibra del proprio essere.

E poi ti avrei sorriso ancor di più.

Con calma ci saremmo congedati dal locale e i suoi avventori, e ci saremmo persi nelle viuzze del centro, a tarda notte, continuando con la nostra produzione di elucubrazioni profonde, mischiate alle più infime battutacce da osteria.

E poi, probabilmente, ci saremmo beccati qualche “Aho! Mortaccia vostra” provenienti dalle finestre sopra le nostre teste, per la troppa caciara.

E quindi, poi, saremmo scappati.

Ridendo.

E poi ci saremmo fermati davanti a un nasone per bere e rinfrescarci, mentre il Ponentino ci spettinava. E mi avresti dato la tua giacca perché sai che ho sempre freddo.

E poi ci saremmo fissati per un po’, finalmente zitti.

Senza la necessità di parole, ma assaporando la quiete. Godendo solo della nostra reciproca presenza.

E poi…

Hai presente quando si parla di quelle banalità per colmare i silenzi, mentre si ha in testa qualcos’altro?

Ecco.

Poi avremmo fatto quel qualcos’altro…

Io ti avrei abbracciato e tu…

Tu, boh.

 

E invece…

Invece sono qui ad immaginarmela questa serata.

Anziché parlarci davvero, fissandoci, tenendoci per mano, in modo complice, intenti a stuzzicarci e a far susseguire parole e sorrisi.

Perché poi…

Poi, i silenzi, le cazzate, la mia testa dura, le troppe cose non dette, le paturnie, l’isolamento fisico e mentale, la lontananza fisica e dal cuore…

Visto che a tutto questo preferisco non pensare, me ne vado lì.

In un posto senza pretese, ma grazioso. Un po’ nascosto, non sfacciato, né scintillante, però accogliente.

Intimo.

È lì che siamo.

Mano per mano.

Lì.

 

 

RIDI, PAGLIACCIO!

23 - Il-Pagliaccio edOgni giorno capita che qualcuno mi dica  «A te cosa importa? Tanto tu ridi sempre!».

Allora io lo guardo in silenzio e penso…

Torno con la mente a quel lungo lunghissimo periodo in cui non riuscivo proprio più a ridere…

«A te cosa importa? Tanto tu ridi sempre!».

Adesso. Per giorni, mesi, addirittura anni, non ridevo molto.

Ci sono delle sofferenze dell’anima che spesso ci creiamo da soli. Forse è la troppa sensibilità, le delusioni, il senso di inadeguatezza. Anche questo, mi sento sempre inadeguata. Sorridendo piaccio e mi piaccio di più.

Prima non ci riuscivo, perché la mia vita non era per niente come la volevo e non riuscivo a vedere i motivi per essere felici che, nonostante tutto, si trovano sempre.

Non ridevo mai, o se ridevo non ridevo con il cuore, era una contrazione involontaria della bocca.

Tutto questo finché la vita non mi ha dato dei motivi seri per cui piangere ed essere tristi.

Mi ha aiutata.

Ho pensato alle banalità dei miei motivi di sofferenza. Alla pochezza delle giustificazioni delle mie lacrime. Al dolore che mi ero inflitta del tutto volontariamente. Queste sono solo sciocchezze…

Per cui adesso sì, sorrido ogni giorno e di tutto ciò che mi capita. Anche quando avrei voglia di urlare e disperarmi penso che non ne ho diritto perché nonostante tutto sono una persona fortunatissima e godo di ogni piccola, misera, dannata cosa.

Hai mai provato a indossare una di quelle maschere che coprono totalmente il viso? E quelle che celano solo gli occhi? Ti è mai capitato invece di osservare qualcuno che le indossasse e domandarti chi realmente ci fosse dietro? Stuzzicante, vero?

Se ti è mai capitato, saprai certamente da quale delirio di libertà ci si senta pervasi… Rimaniamo sempre noi dietro e dentro la maschera, eppure celandoci leggermente, ci sembra di poter fare tutto e di poter offrire un’immagine migliore di noi stessi. O sicuramente schermata.

È proprio per questo che abbiamo deciso di indossare le maschere non solo a Carnevale.

Tutto il giorno, tutti i giorni, tratteniamo noi stessi e ci mascheriamo a seconda della situazione e dell’ambiente.

Sul lavoro siamo seri, ineccepibili, accomodanti, non ci si può lamentare. Con gli amici siamo goliardici e spiritosi, in famiglia offriamo un’immagine molto, molto vicina alla nostra vera natura, ma comunque leggermente distorta.

C’è chi sceglie di celarsi per non mostrare le proprie debolezze, per non ammettere neppure di averle, quasi fossero un disonore. A volte non si vuol far vedere agli altri la nostra sofferenza per non generare preoccupazione, molto più spesso per non “dare soddisfazione”. Che cosa stupida… Non devi sapere che io sto male perché, può darsi, che una parte di te ne possa gioire e non voglio.

La maschera che indossiamo (in)consapevolmente tutti, quella che ci aderisce talmente bene tanto da diventare una seconda pelle, quella che si impossessa di noi tanto da renderci dei burattini tra le sue mani, è la Signora Paura. Madre sovrana responsabile di ogni comportamento umano.

Infatti ci mascheriamo perché abbiamo paura. Non riusciamo ad ammettere la nostra debolezza, non riusciamo a dire «Io ho paura» ma agiamo solo ed esclusivamente in balìa di essa. Ci hai mai pensato? Pensaci… Non ci mostriamo per quel che siamo veramente per paura di non piacere, non ci facciamo vedere tristi per non disturbare, temiamo di essere derisi, scherniti, additati, non accettati.

Cavalchiamo il “politicamente corretto” per non essere considerati sconvenienti e fuori luogo.

Ci conformiamo alle circostanze e all’ambiente per non essere etichettati come “quelli strani”. Nascondiamo dietro la maschera e l’armatura della forza la nostra fragilità, per non essere feriti.

Celiamo perfino i nostri sentimenti, per la paura. La fottuta paura dei sentimenti, quando senti di tenere davvero a qualcuno ti porta ad allontanarti. Ma quanto siamo stupidi? Temiamo di non essere ricambiati… Oppure la paura del potere che questo Amore, e quindi questa persona per cui lo proviamo, esercita su di noi, fa sì che tendiamo ad allontanarla per istinto di sopravvivenza. Si può essere più sciocchi? Come farei se domani non ci fosse più? Se mi ferisse? Se mi tradisse? Se si accorgesse che forse non sono così speciale come pensa? Cosa farei io a quel punto? Ho paura che se ne vada, quindi è meglio che me ne vada prima io…

Ce ne andiamo in giro celati dietro le maschera della strafottenza, dell’autosufficienza, noi piccoli burattini impauriti e bisognosi di tutto, proclamiamo fieri di non aver bisogno di niente e di nessuno.

Perché la paura vince sempre. Ed è sicuramente preferibile rimanere su un campo che sappiamo gestire, piuttosto che rischiare, orrore, orrore, di essere spudoratamente felici…

Tu lo ammetteresti mai? Io no…

Per questo il costume che va sempre di moda è la Maschera “Non me ne frega niente”. Intramontabile quasi come quella “Va tutto bene”.

Il peggio accade quando cerchiamo di celarci anche al nostro stesso sguardo. Perché quando la sera rimaniamo soli e ci spogliamo di tutto, maschere comprese, quello che abbiamo provato a nascondere viene fuori: il nostro vero Io, le paure, le insicurezze, i pensieri, i ricordi…

Restiamo solo noi, piccoli burattini spogliati e circondati di paure. Magari pensiamo a cosa e chi non ci siamo permessi di pensare per tutto il giorno, magari guardiamo vecchie foto e leggiamo vecchi sms. Magari ci vengono in mente le rispostacce che avremmo potuto dare a chi proprio se lo meritava. Magari fantastichiamo sul “Come sarebbe stato se…”

Io lo dico solo a te, ma tu non dirlo a nessuno… Io cedo. A volte mi sento soffocare. A volte sento talmente tanta tristezza addosso che non riesco a respirare. E, quando non mi vede nessuno, da sola e al buio perché neanche io possa vedermi, piango. Piango tutte le lacrime che non mi permetto di piangere durante il giorno. Perché di giorno si ride e la sera si affrontano le tenebre.

E forse è proprio per questo che il pagliaccio, giullare per antonomasia, sopra ai pantaloni larghi, il nasone, il cappello e sopra gli strati di trucco colorato, ha disegnata una lacrima…

Ridiamo burattini, perché lo spettacolo deve continuare! E la gente ha bisogno di divertirsi!

…E ogni giorno capita che qualcuno mi dica  « A te cosa importa? Tanto tu ridi sempre!».

Allora io lo guardo…in silenzio… penso… E gli sorrido!

«Ci sarà tempo per prepararti la faccia per incontrare le altre facce che incontri»

A. Prufrock.

«Inside my heart is breaking, my make-up may be flaking but my smile, still stays on!»

Queen – Show must go on.

Prima pubblicazione: 28.02.2014