MI HA DETTO BABBO NATALE CHE VOI NON ESISTETE!

ATTENZIONE!!

***CONTIENE SPOILER SULL’ESISTENZA DI BABBO NATALE E SUL LIBRO “IT”***

 

Quando fui informata dell’esistenza di un caro vecchio signore che – la notte di Natale – si prendeva la briga di portare doni a tutti i bambini in giro per il mondo, ebbi molte perplessità.

Nonostante lo stupore e la gioia, mi ponevo innumerevoli domande:

  • Come fa a fare il giro del mondo in una sola notte??

  • Dove mette tutti i regali??

  • Come fa a ricordarsi di tutti i bambini e sapere se sono stati buoni??

  • Perché ha la stessa calligrafia di mamma??

  • Se ha la pancia, come ci passa dal camino??

  • E chi non ha il camino? Come fa??

  • Come riesce a non farsi beccare mai e da nessuno??

Scassapalle di Natale lo son sempre stata, sin da piccola.

Però, poi mi facevo bastare le spiegazioni che i miei mi davano.

Per esempio non ho mai confutato la sua capacità di volare a bordo di una slitta trainata da renne: LO RITENEVO POSSIBILE.

Perché avrei dovuto dubitare dell’esistenza di un essere così buono? Di una storia così magica e affascinante?

Gli ho anche scritto quella lettera, spedita fino in Lapponia e mi ha pure risposto.

Però quella mia amica mi ha detto che non è così, è tutta una messinscena degli adulti. Ma lei che ne sa? Lei non è capace di credere.

È tutto vero: Babbo Natale esiste.

Ho riletto, o meglio, ripassato “IT” quest’estate, per prepararmi al film. Ammetto che era un po’ che non lo sfogliavo, che non mi immergevo nella storia dei sette amici che affrontano e sconfiggono il male.

La prima volta lo lessi che ero ragazzina, con un vissuto e una visione del mondo molto diversa rispetto a ora, come è normale che sia.

Stavolta ho notato delle sfumature che mi erano sfuggite o che avevo dimenticato, magari sepolte sotto strati di razionalità adulta.

Il Re ci spiega che IT si nutre e si forma con la paura, assume le sembianze dei soggetti che temiamo: un licantropo, un lebbroso, un padre manesco. Sono i nostri incubi a generarlo.

E così come lo hanno creato, i sette amici riescono ad annientarlo. Nonostante non ci fosse mai riuscito nessuno prima di loro, nonostante fosse terribile e avesse tutta l’intenzione di ucciderli, nonostante fosse potente e magico, loro riescono a batterlo. Perché lo credevano possibile.

Da piccoli temiamo il buio perché sappiamo che può celare mostri.

Ci crediamo.

Esattamente come crediamo a Babbo Natale, a una Fatina che ci dà del denaro in cambio dei nostri dentini, a una vecchina che ci porta dolci o carbone, all’eterno dualismo bene/male.

Ci sono le creature buone, e ci sono le creature del buio.

Quest’ultime le possiamo sconfiggere lasciando una piccola lucina accesa, o convincendoci che non c’è niente sotto il letto, nell’armadio ci sono solo vestiti, guarda se non ci credi. Nulla.

La nostra realtà è plasmata da tutto quello in cui crediamo, una proiezione dei nostri pensieri che forma il nostro mondo, per questo la nostra infanzia era permeata di magia.

Come da bambini crediamo che tutto sia possibile, che le favole si avverano, così l’età adulta è formata dalla razionalità, dai doveri, dal disincanto, dalle preoccupazioni.

A questi pensieri prestiamo la nostra maggiore attenzione.

Non crediamo più alla magia, a tutto quello che può succedere, ai desideri e ai sogni che si avverano, al bene che sconfigge sempre il male.

Filtriamo lo scibile con la lente del disincanto, dimenticandoci della magia, dei poteri, dell’impossibile che diventa possibile.

Ma io credo ancora a Babbo Natale.

Credo che il male esista, ma credo di più nel bene. E credo pure che i portatori di male vadano presi a calci in culo, perché siamo buoni, mica coglioni.

Credo nella famiglia: guida, supporto, sopportazione, rifugio, calore.

Credo nei miracoli. Che siano riuscire ad arrivare a fine mese, o avere ancora la forza di sorridere, nonostante tutto.

Credo alle Fatine. Non si interessano solo ai miei denti, ma anche a tutto quello che c’è intorno. Non mi regalano soldi, ma presenza. Le chiamo amiche.

Credo nell’energia positiva, nel potere della mente.

Credo nell’empatia e nella telepatia affettiva, che quando due persone sono unite si stanno vicine anche coi pensieri.

Credo che il sorriso sia un’arma potentissima: dona forza a chi ci ama, spiazza tutti gli altri.

Credo nell’ironia e nell’autoironia, credo che dissacrare le esperienze negative aiuti a superarle e a depotenziarle.

Credo negli abbracci curativi, dimostrativi, avvolgenti, epidermici, necessari.

Credo nei baci. Quelli lunghi e profondi, che annullano il resto del mondo. E credo in quello che viene dopo.

Credo nella bellezza del cielo e delle stelle, e credo nel puntare il naso all’insù.

Credo nel cantare e ballare; nel ridere senza motivo; nelle telefonate; nei messaggi; negli “Stavo pensando a te”.

Credo nel mangiare e nel bere; nel passeggiare per i boschi; credo nello shopping curativo.

Credo nei vestiti e nei tacchi alti. E credo che un bel trucco possa cambiarti aspetto e umore.

Credo che il mare abbia il potere di riallinearmi con me stessa e col mondo.

Credo che “Ciò su cui ti concentri, cresce”, perciò credo a Babbo Natale. Che magari non è un pancione vestito di rosso, ma rappresenta chi riesce ad aiutarti senza nulla chiedere in cambio. Chi c’è sempre, chi riesce a mantenersi un ottimista innamorato della vita.

Rappresenta tutto questo, tutto quello in cui credo.

I pessimisti cronici; i lamentosi a oltranza; gli odiatori seriali; i disincantati; i gretti; i poveri d’animo; gli ipocriti; quelli che “ho ancora il vomito per quello che riescono a dire, non so se son peggio le balle oppure le facce che riescono a fare”; i sorrisi più finti dei miei ventinove anni; gli invidiosi; i portatori insani di malumore; i perfidi per sport; chi non ha cura del cuore degli altri; gli sprovvisti di empatia; i voltagabbana; gli amici finché serve; i visualizzatori senza risposta; i millantatatori di sentimenti; i contafavole; gli usa-e-getta; gli abbrutiti; gli incazzati col mondo; i boriosi…

A voi non credo.

Voi non esistete.

 

PS: È sorprendente. Forse ho fatto pace col Natale.

Ve l’ho detto, la magia c’è.

 

 

«Ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia,

e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste».

Stephen King

 

«Io credo a Babbo Natale, credo al topolino dei denti, credo alla Befana e agli angeli ma non credo che tu esista. Questo è acido muriatico, adesso tu scomparirai!»

Eddie Kaspbrak – IT, il film

LA PRIMA LEGGE DELLO SHOPPING

La “Prima Legge dello Shopping” enuncia che se ti piace un capo tanto, tanto, tanto, questo, non solo sarà l’unico, ma sarà anche di una taglia minuscolerrima.

Conscia di tutto ciò, quando ho trovato la giacca che cercavo, come la volevo, del colore che bramavo e scontata del 50%, ero abbastanza certa che non mi sarebbe mai entrata.

Infatti, l’etichetta annunciava con malignità: 38.

Eccchecccazzo!

Potevo sopportare di leggere un 42, ma la 38, no! La 38 non è una taglia da femmine sapiens! La 38 non è una taglia per femmine che mangiano!

Ho iniziato ad imprecare mentalmente e mi sono ripromessa di digiunare per i prossimi sei anni, per cercare di entrarci.

La solerte commessa che – evidentemente – aveva letto sulla mia faccia tutto il mio leggerissimo disappunto, mi si è affiancata come un diavolo tentatore e mi ha sussurrato sorridendo:

«Sono taglie europee…»barbie bastarda shopping

«Ah…» ho replicato io un po’ disorientata.

Era una bella notizia, perché le taglie europee non corrispondono alle nostre, ma, mediante un’equazione algebrica di primo grado della scala Cavalli, calcolando il seno delle grandezza, ovviamente, delle tette e dividendo per le calorie che hai ingerito nelle ultime ventiquattrore, ottieni la conversione nella nostra taglia.

E, mentre le Vocine nella mia testa cercavano di fare i conti per scoprire il valore di quella cifra, in termini comprensibili a noantri, confuse dal miraggio che, forse, una prima delusione stava per tramutarsi in un’immensa e mai auspicabile botta di culo, l’efficientissima commessa, dopo avermi scansionata, mi ha suggerito:

«…quindi è una 44. È proprio la tua taglia!»

«Ah… Ah! Aaahhh!!! Allora me la posso provare!! Allora mi entraaa!!» Ho iniziato a gridare.

«Certo, certo…» mi esortava lei. Con un risolino beffardo che, solo dopo, sono riuscita a decifrare.

Che gran culo! E non parlo solo del mio.

Concedendomi risate di libidine, ho iniziato ad infilare le braccia, aiutata dalla gentile fanciulla. Spalla un po’ strettina, ma va be’. È più figa stretta, poi se è troppo larga perde la forma, lo sanno tutti! (ma quante stronzate ci raccontiamo?)

Ho preso i due lembi della chiusura cercando di ricongiungerli ed eccola lì! La stranezza!

Corollario alla Prima Legge dello Shopping: i capi che ci piacciono, tendenzialmente offrono dei discreti elementi di stranezza che ce li fanno amare (e odiare) ancora di più. In questo caso, questa graziosa giacca possedeva una chiusura sbieca. Ovvio. Dritta era troppo semplice, dritta si sarebbe chiusa con eccessiva destrezza. No, no, a noi ce piace complicarci la vita.

Con mooolta fatica, sono riuscita a chiuderla e ho iniziato a maledire la pizza ingurgitata, con soddisfazione, la sera prima, la birra che la accompagnava e uno, ad uno, ogni centimetro della mia pelle imbottita, troppo abbondante.

È stretta! Mi va stretta! Porca pupazza lurida! Sono una culona! Una culona, panzona, fiancona, tettona!

La 44 è la mia taglia da decenni, ora l’ho persa di nuovo?? Ma non mi pare di essere ingrassata, anzi!! Stasera vado a correre! Da domai mi metto a frutta e liquidi! Però questa giacca la devo avere! Per forza! E poi comunque si chiude! E – come dico sempre – finché si chiude, va strabene! Se si chiude, si compra! Anche se non respiri!!

Deve essere mia. E anche lei, avrebbe fatto parte della favolosa collezione, che tutte noi possediamo, chiamata “Capi che acquistiamo sperando che un giorno ci vadano perfino larghi”. Noi donne siamo delle inguaribili ottimiste.

Ero così felice stringendo la mia bustina contenente un sogno realizzato! E fanculo se non avrei respirato e fatto la fame per indossarla, ne valeva la pena.

Appena varcata l’uscita del negozio e scorgendo la fanciulla che mi faceva “Ciao” con la manina, col medesimo ghigno godente, ho udito una delle Vocine nella mia testa:

«Certo che ti sei fatta fregare per bene… Tutti questi anni passati a fare compere non ti hanno insegnato niente?»

E lì, un barlume di lucidità ha fatto capolino nella me stessa strafatta di shopping.

«+4!! +4!! Ma come ho fatto a non ricordarmelo?? Eppure è semplice!!»

Eh sì, mie care, per ottenere la nostra taglia, da quella europea, basta aggiungere un “4”. Semplice.

Così la mia adorata giacca era, in realtà, una 42. Ed io avevo passato l’ultima mezzora ad insultare me stessa, senza motivo, anzi! Avrei dovuto elogiarmi!

Tutto per colpa di quella subdola lavoratrice sottopagata…

Tu, mia cara commessa, per il fatto di avermi raggirata così per bene ti sarai sentita mooolto soddisfatta. Sarai stata contenta di avermi fregata, chissà quanto hai riso, dopo, tacendo pur vedendo che stavo soffrendo, brutta stronza! Sarai stata entusiasta, immagino.

…Ma mai quanto me per essere entrata in una 42. Tié.