LA BARZELLETTA DI RAOUL BOVA 

“No, dài, ti prego! Non è possibileee!!”

Solo questo siamo riuscite a dire in coro la mia amica ed io, alla vista di un Bono Sapiens a noi noto in compagnia di una, anch’ella ben nota, gatta morta. Peraltro detentrice dell’immenso potere di riuscire a rompere enornemente gli zibidei, senza vederli spesso. Peraltro manco bella e no, neanche simpatica.

Eccchecazzo.

Mentre li osservavo, ho dapprima spalancato la bocca, poi ho fatto il labbretto, come una bimba alla quale viene scippato il gioco preferito.

Diciamocelo, la botta è stata tosta, perché lui è il Bono Sapiens del mio cuore, non lo sa nessuno e tutti ne sono coscienti. Perfino noi.

Ho pensato a tutto l’impegno che stavamo profondendo da anni in uno stuzzicamento reciproco che, una volta sfogato, sono certa che produrrebbe più fuochi d’artificio che una notte di San Silvestro.

Tutto il nostro eccitante cercarci e respingerci, condito da sguardi rubati, linguacce sceme, sorrisi che disarmano ogni tattica, e sconfinano con prepotenza la zona di sicurezza nella quale ci trinceriamo saggiamente e vigliaccamente.

Mi sono tornati in mente tutti i discorsi fatti, tutto il suo millantare conquiste e la generosita con la quale si dava e dava… Attenzioni a qualsiasi fanciulla ne richiedesse.

Tutto il senso di inadeguatezza, ben camuffato, che si impadronisce sempre di me in sua presenza. Tutto sostituito da quella immagine che cozzava con ogni pensiero, ogni vanto, ogni logica, ogni speranza.

Anzi, no. La speranza la fomentava pure. Perché se costei è riuscita a stare con lui, speranza ce n’è davvero per tutti.

Eppure succede. 

Ma non a me. 

Queste importanti considerazioni, sono state bloccate dalla domanda della mia amica, basita almeno quanto me:

“BB, ma non dici nulla?”

“Non riesco a dire niente…”

“Tuuu?? Come è possibile??”

“Ho in mente solo la barzelletta di Raoul Bova…”

“Cheee??”

“Sì, dài, la barzelletta di Raoul Bova, Brad Pitt, Patrick Dempsey, chi ti pare. Qualsiasi bono famoso che ti viene in mente”.

“E qual è? ”

“Ci sono una moglie e un marito.

Lei fa a lui: ‘Caro, ma se ti dicessi che sono stata con Raoul Bova, che diresti?’

E lui risponde: ‘Be’, lo guarderei da uomo, e poi gli direi: certo Raoul, fai tanto il figo e poi… Guarda con chi vai!”

I PROFESSIONISTI DELLA CAZZATA & IL FATTORE “PRESA PER IL CULO”

Molti anni or sono, quando ero una ragazza semplice e ingenua, mi imbattei nel mio primo esemplare di Professionista. “Professionista della cazzata”, per la precisione. (PDC, d’ora in poi).

Per quante ne aveva inventate – che mi ci volle molto tempo per decifrare e smaltire – lo soprannominai “Il Genio del Male”. Genio perché – per mentire – occorre davvero una gran mente e una gran memoria; Male perché tutti i comportamenti lesivi della mia persona che attuò, furono del tutto gratuiti.

Mi aprì un mondo che, fino ad allora, ignoravo. Mi insegnò a dubitare, a non credere a tutto quello che mi veniva detto, ad ascoltare le parole, ma – sopra ogni altra cosa – a verificare che a queste seguissero fatti concreti. A osservare le azioni e attenzioni che mi venissero rivolte e mancanza di esse.

E scoprì un nervo nella mia pelle che – tuttora – se toccato, mi irrita come poche altre cose al mondo: tira fuori il mio lato peggiore e tutta la mia ienaggine e bestialità, mi fa tagliare ponti, strade e gallerie con chiunque lo stuzzichi.

Ovvero tutte quelle sensazioni che certe azioni e frasi mi provocano, e che si possono sintetizzare nel “Fattore presa per il culo”(FPPIC).

Ho già spiegato che esistono innumerevoli componenti dell’Esercito degli SS: Scopa & Scappa.

La differenza fondamentale tra i membri dell’SS e i PDC risiede senz’altro nel protrarsi nel Lungo Periodo del FPPIC. Infatti, mentre i primi fuggono all’alba del primo amplesso, i secondi risultano parecchio più subdoli, perché perpetrano il comportamento ingannevole finché più gli aggrada o – più verosimile – finché non vengono smascherati.

Un PDC è per sempre, non ti lascerà mai! E chi glielo fa fare? Spesso ha la botte piena e sette/otto mogli ubriache.

Infatti, pregevoli esempi di uomini dabbene, fieri PDC sono, ad esempio, quelli che conducono due o più vite parallele con compagne ignari.

Ma vi immaginate che fatica?

Recentemente, una mia cara amica ha conosciuto l’uomo perfetto.

Lui ha fatto tutte le mosse giuste, le promesse giuste, le parole giuste, al momento giusto.

Si è presentato come un novello Terence da compatire perché – benché lui e la sua compagna vivessero come fratello e sorella già da tanto – non se la sentiva di lasciarla. Ma lo stava facendo, eh! Mancava poco…

A dire il vero, si erano poi – di fatto – già lasciati, però lei non aveva un posto dove andare e lui, Gran Cuore, non se la sentiva di sfrattarla e consegnarla a un destino da Piccola Fiammiferaia ai bordi delle strade. Porella, che devo fa’?? Solo chi ha un quore, capirà!1!

[Già vista, già sentita. Vi omologate anche le cazzate??]

A parte questo piccolo inconveniente, lui non si scordava mai di ripeterle e dimostrarle quanto fosse importante, quanto si sentisse felice – ora – insieme a lei, e di quanto volesse continuare a renderla felice nei secoli dei secoli, amen. Quanto fosse l’unica donna per lui. Allora dammi il tuo amore e non chiedermi niente e te lo do, sì!

L’uomo perfetto palesava anche un’avversione verso i social network, che lo portava ad essere sprovvisto di account, mentre l’ultimo accesso avveniva sempre e solo con lei. Bravo ragazzo!

Bastava aspettare. Per l’uomo perfetto si aspetta, eccome.

Giuro, sistemo tutto e poi saremo tu ed io. Solo noi due…

Peccato che…

L’account lo avesse eccome (fake chiaramente) e, appena terminato di whatsappare con lei, iniziasse a messengerare con almeno un’altra. Mentre quella “ufficiale”, la quasi-sfrattata, non si sa se fosse consapevole del tutto o meno.

Il colpo di scena vero e proprio, è avvenuto quando la mia amica ha avuto il (dis)piacere di conoscere, per caso (che non è mai a “caso”), una delle altre concubine del PDC-Terence-Poligamo-GranFiglDiPutt.

Immaginate la conversazione:

«Sai, io sto con Gino!»

«Madddaaaiii!! Pure iooo!! Che figataaa!!»

Ecco.

Da lì, hanno iniziato una meticolosa ricostruzione tramite incrocio di date, dati, dettagli, messaggi e telefonate che solo due donne e la CIA possono riuscire a compiere. Ma sulla CIA non sono così sicura.

Ne è uscito che questo Gran Signore, questo Professionista della presa per il culo plurima e continuata, questo moderno Enrico VIII con le mogli tutte vive e tutte con la testa – sebbene infarcita di monnezza – oltre la già citata genialata del mezzo di comunicazione disgiunto, inviava loro gli stessi messaggi, dedicava le stesse canzoni, riciclava le stesse frasette e poesie copia-incolla e gli stessi messaggi vocali, per evitare di sbagliarsi.

[È capitato anche a me. Ragazzi, io ve lo dico: quando inoltrate un messaggio vocale, si vede, è diverso. Così, giusto per farvi capire che forse non siete così tanto furbi come credete.]

Cos’è il genio?

Insomma una sceneggiatura così intricata e contorta che Beautiful scansate proprio.

Quando me l’ha raccontato, credo di essere rimasta a bocca aperta per almeno un paio d’ore. Successivamente, l’unica frase che sono riuscita a proferire in loop è stata: «Nooo… Che schifo! Ma davvero??»

Sì, queste “persone” esistono DAVVERO.

In genere succede così: ci si conosce, ci si frequenta, la cosa può andare o meno, fa parte del gioco. A volte sta bene a entrambi mantenere un profilo “basso”, poco impegno, scialla e easy, come si dice tra i ciovani. Ci sta. È accettabile.

Quello che è inaccettabile, quel che ci tramuta in Cerberi sanguinari assetati di vendetta è, appunto, il FPPIC: promettere, pompare la storia, millantare sentimenti, sciorinare paroloni.

Ingannare, per il solo gusto di farlo.

Allo stesso modo, può capitare che l’interesse scemi, capita, non serve negarlo, è palpabile, è palese.

Perché continuare a oltranza la PPIC?

Per vigliaccheria?

Per non arrecare dispiacere?

E quindi mi state dicendo che arreca meno dispiacere prendere per il culo qualcuno che con voi è sincero?

Mentre i pochi uomini decenti che sono rimasti sono lì a chiedersi perché siamo così prevenute, noi abbiamo dovuto ascoltare gente che paventava trasferimenti e convivenze, gente che – dopo una settimana – voleva presentarci alla madre, gente che “Ci sei solo tu” e lo diceva a una decina, gente che “Ti giuro”…

Noi donne lo sappiamo, il nostro famoso sesto senso è sempre attivo, non servirebbe ingannare, se iniziamo a sentire puzza di bruciato, il nostro uccello è già bello che arrostito.

Tutto questo, fa parte di quella che chiamiamo “Esperienza” che ci educa, ci fa capire e che fa sviluppare in noi un senso critico che ci permette di individuare da subito “Cosa ci farà” l’uomo che abbiamo di fronte.

In teoria.

In pratica è tutt’altra faccenda.

Nonostante la nostra destrezza e l’imperativo di diffidare sempre in attesa di smentita, nonostante l’addestramento atto ad evitare le pallottole e pugnalate dei PDC, spesso, ci caschiamo ancora.

Ci crediamo, ci vogliamo credere.

Ma senza questo bisogno di promettere mari e monti e colline e praterie, dove corrono dolcissime le mie malinconie.

No, non c’è proprio questa necessità.

Il mondo sarebbe un posto migliore se tutti dicessimo la verità.

Invece, ogni giorno ne sento di nuove. Ogni giorno ne capitano di diverse e disgustose, a me, a chi mi è accanto, o di terza e quarta mano, all’amica della cugina, della sorella, della parente…

Se aprissi un contest chiedendo di raccontare episodi simili di degrado umano, sono sicura che sarebbe difficile assegnare il premio del peggiore.

Dopo il “Genio del Male”, ho avuto la fortuna di conoscere innumerevoli PDC.

All’ultimo, in ordine di tempo, esasperata dal protrarsi della PPIC, ho fatto una cosa che non avevo mai fatto nella mia vita: l’ho bloccato. Dal mio profilo personale, dalla pagina, dalle chiamate.

Per poi ricontattarlo, circa un mese dopo, perché dispiaciuta di quella situazione. (non infierite, per favore).

Mi ero detta che, se avesse voluto davvero contattarmi, avrebbe potuto farlo in altra maniera, nonostante i blocchi. In effetti, oggigiorno, esiste un’ampissima offerta comunicativa, che non ci permette mai di sparire del tutto. Aveva a disposizione i vecchi sms, le mail (LE), il blog, perfino l’indirizzo.

Chi lo vuole davvero, sa come trovarti.

C-H-I  L-O  V-U-O-L-E  D-A-V-V-E-R-O.

E invece Puff!

Sparito lui e il suo immenso interesse, così decantato.

Quando gliel’ho chiesto, ha provato a giustificarsi:

«Ma io ti ho chiamato diverse volte! »

«Davvero?»

«Sì, però tu mi avevi bloccato!»

«Il telefono me lo segna se hai provato a chiamarmi, anche se sei bloccato, e di chiamate tue non ce n’è nessuna…»

«…ma ti ho chiamato con l’anonimo

«Ah, ecco. Certo! Però di chiamate perse sconosciute, non mi pare di averne…»

«Eh perché una volta era occupato e altre volte non ti prendeva!»

«Ma guarda caso! »

«Sì, giuro!»

«Davvero?»

«Ma certo!»

«Allora perché non mi mandi lo screeshot delle chiamate che mi avresti fatto? »

«Eh perché… Perché tre settimane fa ho dovuto formattare il telefono e si è cancellato tutto!»

«Ma ari-guarda caso, eh!»

Non me la sono sentita nemmeno di continuare. Non mi andava neanche di ribattere che, secondo una consecutio temporum semplicissima, quelle presunte chiamate sarebbero dovuto risultare in un periodo di tempo inferiore alle famigerate tre settimane. Quindi quelle chiamate sarebbero state presenti, se solo fossero esistite…

Non mi andava di sentire altre cazzate.

Non mi va più di sentire sempre cazzate. Sono stanca.

Se esistesse un cazzatometro, il mio starebbe straripando.

Non c’era bisogno di umiliare ulteriormente me stessa e la mia intelligenza, chiedendo spiegazioni che poi, fondamentalmente, non mi interessava neanche avere. Perché non avrebbero cambiato la bassissima considerazione che ora ho di questo “uomo”. Non lo avrebbero mai riabilitato ai miei occhi e – soprattutto – non avrei più creduto a una sua sola parola e agli spergiuri di un Professionista della cazzata doc.

Non avevo voglia neanche di ascoltare le accuse di risposta sul mio “eccessivo pensare male”.

Sarebbe stato molto più semplice raccontare la verità, quella che ho richiesto più volte, quella che non necessita di una memoria e di una capacità di improvvisazione formidabili.

Ora, io di conversazioni di questo genere ve ne potrei riportare a iosa. Di frasi che sono costretta a udire per tentare miseramente di camuffare una montagna di cazzate, ci potrei scrivere un altro libro.

Se avessi assecondato l’istinto omicida che mi pervade ogni qualvolta le odo, ora vi scriverei dalla mia cella in quel di Rebibbia. E magari sarei mooolto più serena. (che poi, se a giudicarmi fosse stata una donna, mi avrebbe assolto sicuramente!)

Ammetto di aver sviluppato un’idiosincrasia violenta verso i bugiardi, che mi ha resa intollerante alla menzogna, tanto da allontanare chiunque manifesti i sintomi, anche solo una volta.

Perché chi mente, probabilmente lo farà sempre e la bugia non può coesistere con un rapporto civile, a qualsiasi livello.

Allo stesso modo, detesto profondamente chi non fa quello che dice.

Chi si scorda di me. Chi sparisce.

Quando poi questi si ricordano di scrivere (perché tanto tornano TUTTI) inizio io a scordarmi di rispondere.

Nessun condono, non più.

Non mi interessa se, fino al minuto prima ci siamo promessi mari e monti, chi si scorda di me, può continuare a farlo.

Chi si scorda di te, non tiene a te. Così semplice e così doloroso.

Tutto quel che ha detto, tutto quello che probabilmente non ha fatto, determina il fattore presa per il culo di un professionista.

Dopo, resta da smaltire la delusione che ogni maledetta volta ci fa smontare quel bel ritrattino che avevamo costruito di costui. Quel sorriso che ci ballava sulla faccia da ebete a ogni messaggio e a ogni chiamata. E che ora, solo a pensarlo, ha lasciato il posto a un senso di nausea e disgusto, e un’altra bella fila di mattoni su quel muro che interponiamo tra noi e gli altri.

Peccato.

Quando da sole – di notte – ripercorriamo tutte le tappe della storia, le frasi, i gesti, i discorsi, le discussioni, le risate e tutto l’avvicendarsi di emozioni che l’hanno accompagnata, quel che ne rimane, è solo la domanda che sempre, sempre, mi pongo e alla quale non riesco mai a dare una risposta:

«Ma perché? Ma che bisogno c’è di tutto questo?»

Questa la giro a voi, perché proprio non lo so…

Per il finale, ho lasciato uno che – per me – si è guadagnato il primo posto sul podio, nel famoso contest.

Quello che mi ha fatto capire fino a dove si può spingere un Professionista.

Quello che ha superato un limite che non credevo valicabile.

Quello che mi viene in mente, ogni qualvolta qualcuno mi accusa di essere troppo diffidente e pessimista.

Quello che, forse, mi ha tolto definitivamente la fiducia verso un altro essere umano.

No, scusate.

Ho sbagliato, mi sono espressa male.

Mi rimane difficile definire “essere umano” uno che, per giustificare le proprie nefandezze, si è addirittura inventato una patologia invalidante per il figlio (smascherata con una banalissima sessione di stalking virtuale incrociato, neanche tanto complessa…).

Preferisco non dedicargli più parole.

Solo una considerazione: forse sono troppo pervasa dalla superstizione, o dal mero buonsenso, ma – miei cari Professionisti – non mi capacito e non so davvero con quale cazzo di coraggio, voi riusciate a giurare su parenti, su voi stessi, le vostre minuscole palle, senza avere paura che – prima o poi – paghiate le conseguenze delle vostre spregevoli azioni e spergiuri. Oltre a chiedermi come riusciate a specchiarvi senza sputarvi, ovvio.

Non so davvero come possiate pensare di essere immuni alla legge del Contrappasso e al glorioso Karma.

Al vecchio adagio che ci ricorda che “Si raccoglie ciò che si semina”. Sempre.

Quando seminate montagne di cazzate, mortificazioni, prese per il culo e umiliazioni, dovete essere consapevoli che ve ne arriveranno tutti i frutti.

E noi saremo lì, a ridere della vostra poraccitudine.

Perché, come ho già detto, la nostra delusione svanisce. Invece se sei una merda, no quello non cambierà MAI.

 

“Puoi dire quello che vuoi,

ma sei quello che fai…”

Cit.

 

 

NDBB: Comportamento assolutamente girabile alla sfera femminile: esistono svariate Professioniste e lo sappiamo bene. Ma – al solito – io, in quanto possidente di ovaie, parlo dal mio squisito punto di vista.

 

PS: Mi ha detto un Professionista di aggiungere nell’articolo che, nonostante io l’abbia descritto come uno stronzo, lui mi vuole bene. Ok, l’ho scritto. Ma, per completezza, devo aggiungere anche la mia risposta: “Per fortuna mi vuoi bene, pensa se mi volevi male!” 😉

SONO UNA VIGLIACCA…

È inevitabile che, avvicinandosi la fine dell’anno, si tenda a fare un’analisi dell’andamento degli ultimi dodici mesi. Mi sento sempre in credito nei confronti dell’Universo, ma quest’anno ho una certezza da affrontare: sono una vigliacca.filosofo-tuttacronaca

Se analizzo i miei comportamenti, pensieri, parole, opere e omissioni, la conclusione è sempre questa: sono una vigliacca.

Ho mollato. Sono sprofondata in un abisso nero nel quale mi sono cullata per mesi perché sono una vigliacca e ho smesso di lottare. Tanti hanno preferito non vedere, altri troppo egocentrici o superficiali per farlo.

Mani tese verso di me per afferrarmi, due, forse tre, non di più. Mani che ho provato perfino a cacciare, perché sono una vigliacca, volevo crogiolarmi nelle mie debolezze e non volevo essere salvata. Mani protese a chiedere, sempre molte… Sono stanca. Davvero. Ho eliminato altre persone dalla mia vita, tante.

Molte pensano che io sia la più stronza del mondo e mi va benissimo così. Perdonatemi,  non lo ero, mi ci hanno fatto diventare e ora mi adagio in questo mio nuovo ruolo, perché sono una vigliacca e ho smesso di chiedere e dare spiegazioni. Ho imparato che chi mi vuole davvero bene mi ama anche così, degli altri non me ne frega proprio più niente. Non ho più la voglia di comprendere sempre e ascoltare chi mai lo fa. Non mi interessa sentire lamentele continue. Non è gradito chi c’è “perché o finché non trova di meglio”. Chi porta solo nevrosi perché ho già le mie e vi assicuro che bastano. Chi parla solo e di fatti ne fa pochi. Chi cambia comportamento a seconda dell’interlocutore, chi si dimentica di te se non gli servi più.

Chi vuole esserci è ben accetto. La porta è sempre aperta, sia per entrare che per uscire. Ma non si richiedono né si fanno preghiere di nessun tipo. Così è. Amen. La mia vigliaccheria si esplica, così, nell’intolleranza. Non tollero più, elimino e basta. È più facile e, ormai, scelgo la via in discesa, perché sono una vigliacca.

Resto fedele alle etichette che mi sono affibbiata, piuttosto di provare a vedere se posso diventare altro. «Sono così». Punto.  Ho posto barriere, paletti, costruito un recinto di convinzioni nel quale pascolo insieme ai miei pensieri che non confido a nessuno.

Fingo indifferenza invece di puntare i piedi e alzare la voce. Nascondo i miei sentimenti, invece di provare a esternarli. Sono una vigliacca, perché ho scelto di tacere invece di parlare.

«Certe parole, a pronunciarle, suonano male, per questo non le diciamo» non ricordo dove l’ho sentito, ma sono assolutamente d’accordo. Certe cose non si possono proprio dire. Se sei una vigliacca, poi, non le pronuncerai mai.95561 ed

Le frasi composte da tre parole sono le più difficili. Tre parole, tremila paranoie…  “Tu mi piaci, Ti voglio bene, Io Ti Amo, A me dispiace,  Tu mi manchi, Io sono felice, Tu sei speciale…” La più difficile, perché si ammette la propria debolezza, è: Io ho paura. Ho paura di tutto, ho paura di essere giudicata, additata, non compresa, di non essere perfetta, all’altezza, ho paura di essere felice, ho paura di TE… Come si fa a dire una cosa simile? A investire una persona di una tale responsabilità e, allo stesso tempo, soddisfazione? Tu sei importante. Io sono ferita. E ho talmente tanti mostri nella testa, che ho paura di mostrare a chiunque, che, ormai, ho preferito nutrire loro piuttosto che le mie speranza perché sono una vigliacca che ha paura.

“Io ti ringrazio”. Mi sono tenuta per me anche questo. Avrei dovuto e avrei voluto dirlo a un’anima gentile che è arrivata inaspettatamente nella mia vita, donandomi delle risposte a delle domande che, ovviamente, non le avevo mai posto.

Ma non ho detto niente e l’ho lasciata andare perché “sono una vigliacca” e un giorno magari mi pentirò di tutto quello che non ho detto, ma, ora, ho paura e ho deciso di coltivare lei, piuttosto che vivere.

Penso che, se fossi stata un pochino più coraggiosa, non sarei ora qui a scrivere.

Sono sprofondata in un abisso nero e mi sono detta che, ormai, era l’unico posto in cui potevo rimanere. Perché sono una vigliacca e non avevo più voglia di combattere. Sono stanca. A volte bisogna capire quando è giusto mollare. Ho mollato. La mia vigliaccheria mi ha coccolata e custodita nel buio, raccontandomi che era inevitabile e che sarei stata finalmente al sicuro. Le ho creduto. Lottare, per cosa? Sperare, ancora? Basta, sono stanca. Sono rimasta in un abisso nero, circondata da muri di certezze, spettri e incubi tutti costruiti e alimentati da me. Sono una vigliacca, ho preferito smettere di sognare e ho spento la Luce. Sono rimasta nel buio per mesi, ma non riuscivo più a tollerare l’oscurità e non avevo più la forza di anelare alla Luce.311210_savanna_-lvica_-oxota_1920x1200_(www.GdeFon.ru) ed

Penso che, se fossi stata un pochino più coraggiosa, non sarei ora qui a scrivere.

Ma sono una vigliacca. Per fortuna…

 

“Tanto più resistente è la corazza, 

tanto più fragile è l’anima che la indossa”.

Edvania Paes

 

Dedicato a chi mi ha detto «Ho paura di essere felice,

perché ho smesso di credere alla felicità…»

E al coraggio di essere felici tutti i giorni…

Prima pubblicazione: 30.12.2014