NONOSTANTE TUTTO

Lui ha saputo che ho avuto dei problemi di salute, così ha alzato il telefono e mi ha chiamata.

Semplicemente e nonostante tutto.

Nonostante l’ultima volta gli avessi detto che avrei preferito ingrassare dieci chili, farmi a piedi la Salerno-Reggio Calabria a Ferragosto, sacrificare tutte le mie scarpe, farmi scocciare da tutti i call center del pianeta, piuttosto che sentirlo di nuovo. Il tutto pronunciato con toni molto poco pacati.

E badate che sono sempre molto rigorosa quando si tratta di serrare porte.

Un mio “Vaffa” è per sempre.

Ma lui se n’è fregato e la porta l’ha scardinata.

Non si è fidato delle notizie che avrebbe potuto reperire di seconda mano, voleva appurare dalla mia viva voce come stessi e i vari cosa, quando e perché.

Non si è nemmeno nascosto dietro a uno squallido messaggino freddo, condito con emoji cretine. Mi ha proprio chiamata.

Sono certa che anche io l’avrei fatto per lui.

Magari è stato un pretesto?

Boh, chissà.

Comunque l’ha fatto.

Nonostante tutto.

Ci ha messo il coraggio e l’interesse.

L’ho apprezzato immensamente.

E poi mi sono incazzata.

Non con lui, sia chiaro.

Mi sono incazzata perché ho considerato che una cosa così normale, una gentilezza comune, una cortesia, un gesto carino e – volendo – pure “dovuto”, l’avete fatto diventare una chimera, una rarità, un evento da riconoscere e festeggiare, un’eccezione che conferma la regola fatta di menefreghismo, superficialità e inettitudine.

E con VOI mi riferisco a tutta questa pletora di smidollati, anaffettivi, effimeri, maestri del “non detto” , senza palle né dignità – figuriamoci il rispetto – che circolano oggigiorno.

Che ci hanno fatto credere che la mediocrità fosse la norma. Che ci hanno purtroppo abituate all’inerzia, l’indolenza, cosicché ricevere una semplice telefonata sia diventato addirittura un atto da magnificare.

Che ci hanno insegnato che trattare gli altri con rispetto sia un’opzione e non la consuetudine. Che preoccuparsi di quelli che ci hanno fatto compagnia per un tratto di strada, nonostante tutto, sia divenuto desueto.

Che l’egoriferitismo sia l’imperativo categorico. E che lo “Sticazzi di te” debba accompagnarlo sempre. Come stai, che fai, che senti, che provi, contro cosa combatti, perché sorridi, come te la passi, STICAZZI. Ma che me frega a me.

Credo che alcune circostanze debbano travalicare le incazzature, le litigate, muri, paletti e silenzi che abbiamo posto tra di noi.

Credo che si possa arrabbiarsi senza smettere di amare, a qualsiasi livello. Senza dimenticarsi di essere comunque esseri UMANI.

Irrispettosi, menefreghisti, egoriferiti esclusivi, maestri della sparizione, NON sono la normalità.

Per fortuna, ogni tanto, qualcuno me lo rammenta.

TI MERITI IL MARE

«La qualità delle tue relazioni riflette quello che credi di meritare».

Questa frase qui, in diverse salse e rivisitazioni, l’ho sentita non so quante volte.

Ogni volta ho pensato frettolosamente che non fosse proprio così e sono andata oltre.

Nell’ultimo periodo mi è stata riproposta, in maniera diretta e non, e mi ci sono soffermata di più.

Ho cominciato a ragionarci davvero, a cercare di capire se e quando ne abbia avuto conferma di veridicità.

Potremmo scomodare la LoA, la psicologia e la sua “profezia che si auto avvera”,  ma è tutto molto più semplice:

«La qualità delle tue relazioni riflette quello che credi di meritare».

Se credi di meritare molto, quello avrai.

Se abbassi l’asticella delle pretese, ti accontenti, ti fai bastare la miseria, quello avrai.

Se ritieni di non essere degno di ciò che vorresti, desideri e ti auspichi, quello otterrai.

Se banchetti con le briciole, anziché ambire a un pasto migliore o preferire il digiuno in assenza di esso, le briciole saranno quel che penserai di meritare. Nulla di più.

Se ti racconti che nessuno mai potrebbe interessarsi a te, nessuno ti farà compagnia.

Se ti barrichi nel castello della tua solitudine, sarai il solo guardiano di te stesso.

Se ritieni accettabile essere una seconda scelta, una riserva, una tantum lo sarai.

Se ti fai bastare un rapporto superficiale, piuttosto che niente, delle limitazioni che contrastano con quel che vuoi davvero, delle etichette quali “solo sesso”, “solo quando non ho di meglio”, “solo quando va a me”, quello sarai.

Ho pensato a tutte le infinite volte in cui mi sono accusata (ed ero pure convinta) di aver sbagliato io ad agire o a comportarmi in una certa maniera.

Quanto mi sia incaponita, abbia giustificato, abbia lasciato correre, pienamente cosciente che NON era quello che volevo.

Quanto mi sia raccontata che le mie esigenze non fossero importanti, fossero dettagli, che il poco fosse comunque meglio di niente.

No, meglio niente!
Piuttosto che qualcosa che tradisca le nostre speranze.

A quanto spesso avessi forzato le cose nel sentire o nel vedere qualcuno, quasi “costringendolo”, quasi supplicandolo, non considerando che ME LO MERITO, eccome, uno non veda l’ora di vedermi, sentirmi, amarmi.

A un certo punto, abbiamo ritenuto che fosse “normale”attendere accanto a un telefono.

Accontentarsi dei ritagli di tempo, orari ben precisi, scampoli di momenti.

Rinunciare ad ambire a un rapporto pulito, semplice, paritario.

Abbiamo addirittura deciso che l’Amore, l’affetto, i sentimenti, fossero un qualcosa di cui dovessimo quasi vergognarci, un impedimento che rovina tutto, emozioni da non rivelare mai che poi – oh – scappa, non mi vuole più, si spaventa.

Non meritiamo TUTTI di essere amati?

Perché rinunciarci?

A tutto questo, a tutto quello che non ci fa stare bene, in pace, felice, occorre dire NO.

Rifiutare tutto quel che sia al di sotto delle nostre aspettative, di come intendiamo i rapporti, di quello che vogliamo ricevere.

Magari coscientemente nessuno si aspetta di essere maltrattato o tradito, che debba essere così una relazione.

Non meritavo le sparizioni.

Non meritavo di essere la seconda scelta o quella di riserva.

Non meritavo di essere lasciata per telefono, senza troppi complimenti.

Tutta questa gente qui, non meritava le mie lacrime, né le mie attenzioni, le cure, l’affetto, l’ostinazione.

Troppe volte abbiamo dato una possibilità a chi offriva miseria, perché – in fondo – era meglio di niente.

Permesso pedissequamente palesi mancanze di rispetto per paura di parlare, o di creare problemi, o porre realmente fine a un rapporto che non dà la reciprocità che dovrebbe.

È doloroso, oh sì, lo è.

Pure i rapporti insoddisfacenti lo sono.

Le delusioni continue.

La fiducia malriposta.

È tutto molto doloroso.

Ma se continuare a sopportarlo o meno, siamo noi a deciderlo.

Siamo noi a sapere se lo “meritiamo” o no.

Forse sono esagerata, le persone sbagliano, non possono essere all’altezza delle mie aspettative…

Ecco. Le aspettative.

Se ti aspetti mediocrità, quello avrai.

Pure in ambito di amicizia, vogliamo davvero che un amico sia colui che ti dà per scontato, che si è talmente abituato alla nostra presenza, da non apprezzarla più?

Se questo è quello che accettiamo, se fondiamo la nostra conoscenza dell’affettività su rapporti disparitari viziati e non appaganti, quello avremo.

Ho sempre pensato che, perdendo una persona, fossi io quella che ci rimetteva di più.

Ultimamente, no.

Ultimamente credo sia veritiero anche il detto “Chi non ti ama, non ti merita”, ovvero non ti capisce, non ti sa apprezzare, non si rendo conto di quello che potrebbe avere.

Quindi, perché dovrei essere io ad agire?

Perché abbiamo rinunciato pure alla cavalleria, alla galanteria, al corteggiamento?

Perché pensiamo di non meritarli più, di dover per forza darsi da fare, patire, subire un rapporto e non sceglierselo deliberatamente?

Meritiamo di essere trattate da DONNE.

Qualcuno me l’ha detto:

«Sei una donna, fatti trattare da tale»

Mentre mi toglieva di mano le valigie che volevo a tutti i costi portare da sola.

Stupita, da quelle piccole attenzioni che non si ricordano nemmeno più, perché cadute nella nostra quotidiana disabitudine.

Abbiamo messo da parte i privilegi che comporta l’essere donna, in nome di una parità di sessi che sottintende una contraddizione implicita.

Ci hanno creati diversi.

SIAMO diversi.

Questa cosa qui dell’indipendenza, dell’autosufficienza del femminismo, dell’emancipazione, l’abbiamo recepita male.

Non significa di certo rinunciare ad esserlo, donne, femmine, con onori e oneri.

E non contrasta per forza con l’autonomia e l’emancipazione.

Abbiamo i nostri “ruoli”, attitudini diverse, palese inferiorità fisica.

Il barattolo riesco pure ad aprirmelo da sola, ma quanto è più bello potertelo chiedere e sapere che dall’altra parte c’è una risposta entusiasta, un qualcuno che non vede l’ora di esserti di aiuto, di fare l’uomo di casa, di prendersi cura di te. Perché meritiamo qualcuno che si prenda cura di noi e dobbiamo permetterglielo.

Allo stesso modo, io ti posso pure invitare a uscire con me, e sicuramente tu mi diresti di sì, ma perché dovrei farlo?

Perché dovrei rinunciare al mio “ruolo” di preda che ha già scelto? Che lascia a lui il piacere della conquista, l’illusione di avercela fatta, mentre invece io ti avevo già puntato da prima che tu ti accorgessi di me, e avevo giurato che saresti stato mio.

Abbiamo permesso a noi stesse di convincerci di non meritare più la cavalleria, la galanteria, il corteggiamento.

Che fossero superati, desueti, non più importanti.

Invece, io me lo merito un cazzo di invito a cena.

Un uomo che non è in grado di alzare un dito per comporre un numero, non merita di certo che io gli faccia alzare altro.

Me la merito una cazzo di telefonata.

Mi merito una grandiosa “botta”, ma anche il prima e il dopo.

Mi merito il mare. 

Le domeniche al mare, le passeggiate, il mano nella mano, i giochi, le discussioni, le coccole, i confronti, i salti mortali per riuscire a vedersi, i compromessi, le rinunce, le conquiste, la cura, l’affetto, l’Amore, mi merito TUTTO.

Merito di essere amata liberamente.

Adesso sono sola, è vero, ma non me ne dispiace.

Perché ho ben chiaro quello che finora mi è stato offerto.

E non perdo più tempo, pensieri, parole, opere e omissioni per chi non lo merita.

Non aspetto, non chiedo, non cerco di convincere, non supplico, non abbasso l’asticella.

Meglio niente, che meglio di niente.

Finalmente SO quel che merito io.

E tu, cosa pensi di meritare?

 

 

”Io sono un esperto di menefreghismo.

Il segreto è smettere di preoccuparsi per la salute delle chiappe degli altri e cominciare seriamente a pensare a quello che vuoi tu,

a quello che tu meriti e a quello che il mondo ti deve, capito?!”

Bender

 

BASTA ASPETTARE (BASTA, ASPETTARE)

Mi hanno suggerito di aspettare.

«Pazienta, BB. Almeno due settimane».

Due settimane?

Non riesco ad aspettare neanche due ore, figuriamoci due settimane!

Quindici giorni, trecentotrentasei ore, vi risparmio i minuti.

Aspettare.

Aspettare non fa per me.

No.

Basta, aspettare.

Aspettiamo anche troppo.

Iniziamo aspettando di crescere, poi viviamo nella perpetua speranza che accada non si sa bene cosa e la aspettiamo tutta la vita che, nel frattempo, passa.

Aspettiamo di vedere che tempo fa al mattino, chi incontreremo, aspettiamo di scoprire chi ci ha telefonato.

Aspettiamo in macchina, aspettiamo in stanze create appositamente per torturarci e farci attendere, denominate“Sale d’attesa”.

Aspettiamo un parcheggio, aspettiamo di tornare a casa, aspettiamo di partire.

Aspettiamo l’estate, poi l’inverno, poi le feste, poi che passino le feste.

Aspettiamo.

Aspettiamo anche troppo.

Il nostro tempo è limitato, è l’unica certezza che abbiamo. Quindi non lo spreco ad attendere incertezze…

«Non è il momento… »

«Io ti aspetto. Se occorre, ti aspetterò tutta la vita…»

Sarebbe terribilmente romantico, vero?

Ti voglio talmente tanto che potrei passare la mia intera esistenza ad attendere il tuo ritorno. Basta aspettare…

Mi è stato anche detto, diverse volte, e, per quanto lusingata da una tale dedizione, l’ho trovato terribile e ho sempre risposto: «Non devi farlo, non si dovrebbe mai aspettare nessuno…»

Lo penso, lo penso davvero. E non si dovrebbe MAI lasciare qualcuno ad aspettarci. Mai. È la forma di egoismo più profonda, sapere che qualcuno sta attendendo un nostro giudizio positivo, una nostra chiamata.

Nulla è più agonizzante di un’anima che attende con speranza un qualcosa che non arriverà mai.

Basta, aspettare.

«Non è il momento… »

Dovrei dirti “Io ti aspetto”? No. “Io ti aspetto” non è per me. “Io ti aspetto” sembra il tempo che passa mentre tu speri che una persona si convinca di volerti . Non è da me. Tu devi desiderarmi sempre. Devi guardarmi e pensare «È lei che voglio! Per un giorno un anno una vita, non lo so, ma voglio lei. Voglio vedere com’è stare con lei. Voglio passare più tempo possibile con lei» . Deve essere così. “Io ti aspetto” è più: “Visto che non ho trovato di meglio, provo con lei. Volevo altro ma non c’è, però c’è lei, vediamo lei”. E io dovrei stare qui ad aspettare che mi scegli per esclusione? No. “Io ti aspetto” non fa per me.

C’è un momento, prima di andartene, in cui speri in un fottutamente romantico: «Ti prego, resta» che ti faccia sentire – finalmente – la protagonista di un romanzetto rosa. Una piccola flebile speranza che ci crede molto più di te. Ma poi muore quando vede l’ennesimo finale triste.

C’è un momento, dopo che te ne vai, un momento la cui durata la decidi tu, in cui rimani fuori la porta ad aspettare di essere rincorso.

«Ti prego, non te ne andare» nei film succede sempre.

Ho aspettato dietro quella porta in silenzio. Ho aspettato da sola in casa accanto a un telefono e a un citofono muti. Ho aspettato per qualsiasi strada che percorressi a piedi. E ho aspettato ai semafori. Ho sperato negli incontri “per caso”, quelli di cui ogni tanto si sente parlare, incontri manipolati dal destino per far ricongiungere due anime. Ho atteso e sperato tutti i giorni.

Gli ho detto che non l’avrei mai fatto, ma l’ho aspettato sempre.

C’è un momento che può durare una vita, in cui fai finta, ma non te ne vai e aspetti qualcuno che forse non tornerà mai.

Ho atteso tanto, invano e sempre con speranza.

Due volte, venti volte, duecento volte. Altro che due settimane.

Finché ho capito che aspettare non fa per me.

Finché ho capito che non si deve mai aspettare nessuno.

Per questo non aspetto più: telefonate, gesti, messaggi, miracoli.

L’unico che merita di essere aspettato è il cameriere al ristorante.

Basta, aspettare.

SO COSA MI FARAI…

Recentemente ho appreso che la quasi totalità dei maschi adulti addita le donne over 30 (e, di conseguenza, anche 40 e oltre…) come “rovinate”. Dalla vita, dai precedenti rapporti, da ciò che volete e, di conseguenza, preferisce evitarle.

Questo spiegherebbe pure perché gli uomini di quell’età, cerchino le ventenni.

Ora, la rovina dovrebbe estendersi senza dubbio anche ai miei cari uomini, perché pure voi, a quell’età e non solo, non è che siate tutto ‘sto divertimento.

Alcuni tornano ragazzini, ma non essendolo più, ne risultano una patetica pantomima.

Vedi cinquantenni irretire adolescenti, millantando esperienza e cura per la femmina, difficilmente trovabile nei loro coetanei. Oppure li vedi sbavare spasmodicamente dietro qualsiasi gonna, cercando di recuperare il tempo perso, per incrementare il numero di tacche sulla spalliera, o per pura vendetta.

Perché alcuni sono incazzati – ma incazzati davvero – con le ex alle quali –nove volte su dieci – devono pure sborsare esosi mantenimenti. Hanno in piedi liti e diatribe che manco la Guerra dei Roses e tutti gli scenari che sono, purtroppo, entrati di diritto nella quotidianità delle relazioni del nuovo millennio.

Per tutti questi motivi, l’intera categoria femminile diventa un manipolo di zoccole, approfittatrici, ingrate e bastarde.

E allora: «Io mi devo divertire, se vuoi trombiamo e basta, non ti aspettare niente da me…»

Questo lo dico, giusto per pareggiare il conto su questi commenti e appellativi misogini e parecchio stronzi (scusate, sono rovinata e inacidita, quindi dovevate prevederlo) e, soprattutto, per farvi capire che ci siamo TUTTI rovinati col passare degli anni.

Tempo fa, scrissi un articolo intitolato “Chi viene dopo paga tutto il conto…” (lo trovate QUI). Nel quale, sostanzialmente, affermavo che l’ultimo che incontriamo paga per tutte le disastrose relazioni precedenti. E spesso, proprio a causa di queste, non le intraprendiamo neppure, perché troppo feriti o impauriti.

Oggi, non credo sia totalmente vero… 

Quel che ci lascia il passato, qualche anno in più e un cospicuo numero di tutt’altro che Principi e Principesse Azzurri, è l’esperienza e un’elevata capacità di discernimento.

Le precedenti relazioni ci insegnano, impariamo. Sappiamo cosa aspettarci.

L’abbiamo esperito a suon di notti insonni e lacrime versate, ma abbiamo finalmente appreso.

Abbiamo appreso i segnali, riconosciamo i gesti e interpretiamo correttamente le omissioni.

Riconosciamo le situazioni che ci potrebbero far male e le evitiamo subito e senza pentimento.

Se agisci così, so già cosa mi farai.

Qualche sera fa, un’amica mi chiedeva che fine avesse fatto il mio ultimo stalker.

«È sparito…»

«Sparitooo?? E tu che vuoi fare?»

«Io? Io niente…»

Magari, anni addietro, mi sarei annientata per la conquista del maschio, lo avrei chiamato e messaggiato io e avrei creduto ai vari: «Non sai quanto sono impegnato, non ho proprio il tempo di chiamarti o vederti…»

Mi sarei sciolta ad ogni messaggio di redenzione – con cadenza bisettimanale, quando va bene – e avrei assecondato le sue esigenze e i suoi impegni.

Un tempo lo avrei fatto. Anzi, purtroppo l’ho fatto e anche spesso.

Avrei accettato briciole anziché Pagnotte (leggi QUI).

Adesso ho capito che, se lui sparisce e non mi tampina a dovere, significa che non è molto interessato alla mia personcina, e probabilmente c’è un cospicuo gruppo di donzelle con le quali sta facendo il medesimo lavoro.

Partecipa anche tu alla grandiosa rotazione settimanale!

Lo capiamo subito, lo sappiamo. A noi donne rovinate – di certo – non manca la lungimiranza. Quindi scegliamo se continuare o meno, assolutamente consapevoli di quel che ci aspetterà.

Magari non sappiamo di preciso ciò che vogliamo, ma abbiamo piena consapevolezza di quel che, di sicuro, non vogliamo più.

E io sono giunta ad un punto della mia vita in cui, se non posso fare la differenza, non mi interessa fare “numero”.

Semplice.

Se sei impegnato e mi chiedi di uscire, ti dico di no, senza nemmeno considerarlo.

Frasi tipo: “Siamo come fratello e sorella, dormo sul divano” l’ho sentito talmente tante volte, che dovremmo iniziare a preoccuparci seriamente del dilagante fenomeno dell’incesto.

“Ti prego dammi una possibilità, la storia è finita”.

No. Finisci la storia, riprenditi e forse poi ne parliamo.

“Tu sei diversa, tu sei speciale…”

Vero. Per questo tengo a me, tanto da sfuggirti.

L’esperienza ci ha insegnato che tanto mogli e fidanzate non le lasciate mai, quindi perché dovremmo complicarci la vita e iniziare un qualcosa che può solo nuocerci?

Non ci fanno squagliare le belle parole, se non seguite dai fatti; non ci incantate, non ci fregate, perché abbiamo imparato a fregarcene noi.

Utilizziamo un rasoio di Ockham sentimentale affilato da anni di giustificazioni dell’ingiustificabile; studi accurati; sofisticate elucubrazioni mentali; illusioni svanite; dietrologia dell’sms e della parola; dinamica del comportamento.

Se qualcosa in noi si è rovinato, è il tempo. Ma non, come sostiene il pensiero comune, perché rintronate dal ticchettio dell’orologio biologico, assolutamente. Abbiamo capito che non va sprecato. E se, in passato, lo abbiamo fatto tante e tante volte, non possiamo purtroppo più recuperarlo, ma abbiamo deciso di non sperperarlo ulteriormente. Quindi non aspettiamo più: telefonate, gesti, messaggi, miracoli.

Abbiamo appurato che nulla va elemosinato né il tempo, né la compagnia, né l’amore.

Magari non sappiamo di preciso ciò che vogliamo, ma abbiamo piena consapevolezza di quel che, di sicuro, non vogliamo più.

Ma speriamo, sempre!

Forse siamo prevenute, ve lo concedo, ma sapete meglio di me che nessuna donna è inconquistabile.

Allora restituitecelo quel tempo, dedicatecelo.

Se ci tenete davvero. Se no, continuate a fare ciò che già fate e saremo noi a riprendercelo, allontanandovi.

Scusate, ma siamo acide e rovinate e dobbiamo avere cura di noi stesse.

Se è terribile e non sopportiamo la generalizzazione (ma scrivendo un articolo è doveroso farla…) è altresì inconfutabile che alcuni comportamenti siano universali e univoci.

O no?

Non siete d’accordo? Avete effettivamente degli impedimenti? Vi siete pentiti di quanto detto? Avete sul serio paura?

E vi infastidisce che vi abbiamo subito etichettati?

E allora ditecelo!

Stupiteci, fatecelo capire perché – a volte – noi non ci arriviamo proprio. Magari siamo troppo paranoiche, ma, abbiamo imparato che difficilmente sbagliamo su certe questioni.

Smentiteci, non vediamo l’ora di esserlo, credetemi.

Pensate meno di noi e agite, pure la vostra di incazzatura ci fa paura. Temiamo di pagare colpe che non abbiamo commesso noi.

Teneteci!

Quando tutte le lacrime e le batoste hanno tessuto un velo di disincanto intorno al nostro cuore, ci vuole pazienza, tanta pazienza. Quella che ha solo chi vuole veramente. Quella che noi, ormai, non vediamo più da secoli e crediamo estinta.

Perciò, spesso, anziché goderci il momento, rimaniamo in attesa del palesarsi della fregatura. Perché tanto ci sarà, per forza.

Dimostrateci che sbagliamo.

Fate seguire i fatti alle parole, alle promesse, che siano quella di chiamarci più tardi, o di vederci quel dato giorno.

Che siate uomini o donne – quando ci tenete – siate CHI fa e dice; CHI fa quel che dice; CHI è presente; CHI telefona; CHI si interessa; CHI dimostra di tenerci davvero e non che dichiara semplicemente di farlo. CHI fa la differenza tra il numero.

Altrimenti qualcosa la faremo noi.
Sfanculare, per esempio.
Se mettere sempre prima il nostro benessere, rispetto a una vacua illusione; se non tollerare di essere trattate come ragazzine, perché ragazzine lo siamo già state e desideriamo rapportarci come Donne, o Uomini adulti; se abbiamo imparato a volerci così bene, da allontanare subito chi non ce ne vuole; se rispettiamo noi stesse tanto da esigere rispetto sempre e comunque; se tutto questo fa di noi delle donne “rovinate”, o ci rende ai vostri occhi acide, io sono felice che il mondo se ne sia popolato.

Perché, secondo me, una donna si rovina e si distrugge davvero quando non compie tutte queste azioni, il che significa che non si ama per niente.

E mi dispiace molto che questo arrivi dopo i 30 o oltre. Con una maturità e consapevolezza che acquisiamo col tempo e col tempo che abbiamo sprecato e che non ci verrà mai restituito.

Mi dispiace davvero.

Di essere diventata una donna cosciente, cauta, accorta, semplificatrice, egoista, intelligente, e pure acida e rovinata, di quello, no. Non mi dispiacerò MAI.

Alle mie Donne e Uomini rovinosamente belli…