MEMORIE DI UN GEISHO: BB INCONTRA UN GIGOLÒ

Se ti dicessero: “Dammi questa cifra e potrai comprare l’Amore”, la sborseresti?

Tutte abbiamo visto il film “The wedding date” in cui lei affitta il super figherrimo per farle da cavaliere in occasione del matrimonio della sorella. E anche per far ingelosire l’Ex, lì presente.

Da quando l’ho visto, ho iniziato a chiedermi se questa pratica fosse diffusa anche da noi.

E chissà se la nuova frontiera dei rapporti sia rappresentata da questo: un Amore a noleggio, senza implicazioni, prendendo solo il meglio. D’altronde – come recita un vecchio adagio – perché comprare tutto il maiale, solo per avere una piccola quantità di carne?

Io mi ritengo una donna media, non di quelle che schioccano le dita e hanno uomini ai loro piedi, né di quelle che forse hanno già bisogno di pagarne uno. Però ammetto di averlo pensato diverse volte che magari una sera mi andava di cenare in un certo posto con un uomo e che magari questa possibilità non c’era. O vedere un dato film, e non mi andava di farlo con un’amica.

Sarebbe bello poter dire a uno – non amico – senza implicazioni, ma mantenendo una certa componente romantica, di farmi da cavaliere.

Oggi, è possibile.

A onor del vero, la “prostituzione” è considerata – per antonomasia – il mestiere più antico del mondo.

Ma se quella femminile è fin troppo sdoganata, l’esistenza e fruizione di quella maschile rimane ben più celata.

Forse a causa di banali tabù sociali che non contemplano che anche le donne possano cercare questo tipo di “intrattenimento”, a qualsiasi livello.

Mentre i bigotti son lì a puntare il solerte ditino, la Compagnia degli Accompagnatori si arricchisce ogni giorno di più. Chiaro sintomo che la domanda c’è, eccome se c’è.

Già dal ‘700, le dame potevano contare sui fidi cicisbei, i loro cavalier serventi, sempre disposti a soddisfare qualsivoglia richiesta della donzella. Qualsiasi.

Oggi c’abbiamo i trombamici, che non ti accompagnano nemmeno a fare la spesa. Che culo, ve’?

Ma cosa cerca una donna da un gigolò?

Cosa se ne fa di un puttano?

Cerca solo qualcuno con il quale andare a cena o – orrore, orrore – va anche oltre perché preferisce la carne al dildo?

Curiosity killed tha cat. Forse, davvero, un giorno la mia curiosità atavica mi ucciderà, oggi invece mi ha condotta al cospetto di un gigolò vero. Perché tutti questi interrogativi li ho rivolti a Michele, Accompagnatore professionista da più di un lustro, sebbene non abbia neanche trent’anni.

Avendo pensato, pure io, molteplici volte di intraprendere l’antico mestiere ho cercato di documentarmi su tutti i fronti per capire bene, da dentro, come si svolga l’escort-lavoro.

Michele e io ci incontriamo in un bar del centro di Roma, davanti a un calice di rosso.

Il vantaggio di condurre interviste vis-à-vis – piuttosto che nelle asettiche risposte di un foglio Word – è che si possono scorgere anche altre risposte, oltre quelle date dalle parole. Nelle inflessioni della voce, nello sguardo, nelle pause. Per chi sa andare oltre, un incontro “dal vivo” rivela molto più delle parole.

Lo svantaggio è che, spesso, si divaghi nei discorsi e non ci si focalizzi sulle domande che avevo diligentemente preparato sul mio bel foglio bianco, da riempire di risposte.

D’impatto Michele è un ragazzo comune. Vedendolo non penseresti mai cosa si cela dietro la sua faccia pulita che non ha niente a che vedere con lo squallore che, per pregiudizio, si presuppone debba coesistere e accompagnare chi fa del sesso il proprio sostentamento.

No, nulla di tutto questo.

Il primo dato allarmante che mi rivela è che– purtroppo – l’85% delle donne vengono tradite.

Quindi, spesso per vendetta, assoldano uno stallone a pagamento per pareggiare i conti.

Oltre questa legittima motivazione, le più disparate: cene; convegni di lavoro; procurare gelosia; far desistere un pretendente inopportuno; guida turistica per Roma; incarnare il finto fidanzato da presentare in famiglia per le lesbiche; evadere dalla routine; coach sessuale.

Soffermiamoci su questo: se alcuni uomini si rivolgono alle prostitute perché con la propria compagna “certe cose” non le fanno; se – sempre questi – trovano inappropriato che la bocca che bacia i propri figli, sia la stessa che commetta atti impuri; se non riescono a vedere la propria donna oltre i confini della dicotomia Santa-Puttana, senza considerare una pletora di vie di mezzo e – su tutti – che una sana libido è alla base di ogni rapporto felice; di contro, abbiamo donne insoddisfatte e sessualmente frustrate che si affidano a un professionista per riuscire finalmente a godere.

Quindi, sostanzialmente, se in giro ci fosse un po’ meno ipocrisia, apertura e complicità, forse ci sarebbero meno tradimenti, da ambo le parti.

Questo spiega anche perché Michele lavori prettamente di giorno, ovvero quando le donne riescono a congedarsi temporaneamente dal sacro vincolo del matrimonio.

Costoro hanno un’età compresa tra i 18 e i 70 anni (complimenti, Signo’! No, non sono ironica…) di tutti i tipi: studentesse, casalinghe, libere professioniste.

Le tariffe partono dai cinquanta euro in poi, a seconda della prestazione e del tempo impiegato.

Chiaramente, in caso di trasferte, si devono aggiungere le spese di viaggio e soggiorno. Idem per le cene.

Tutto è a carico delle clienti.

Nota dolente: non porta la macchina. No, non ci siamo Miche’! Se ti pago per illudermi di avere compagnia, minimo mi devi pure scarrozzare mentre io me ne sto tranquilla sul lato passeggero a lisciarmi i capelli e a fare la faccia sognante.

Migliorare questo servizio, please.

Ma come e perché si diventa gigolò?

In questo caso, grazie al precedente lavoro, Michele ha avuto modo di appurare nello specifico come si sviluppava tale professione, onori e oneri, sponsorizzazione e presenza sui social e sul web.

Formatosi da autodidatta, ha deciso di entrare in affari, sfruttando e sicuro anche dell’interesse che le signore più agée gli manifestavano (ricordiamoci che ha iniziato poco più che ventenne. Potrei essere anche io considerata agée, rispetto a un ventenne…) appagato anche dal piacere personale che ne ricavava, semplicemente relazionandosi con loro.

Quindi perché non farne una professione vera e propria?

Un perfetto Accompagnatore deve curare la propria persona (si presume pure qualsiasi essere umano, ma va be’…) allenarsi con costanza, essere presente in ogni social, sito specifico (con dei costi notevoli), essere colto e preparato e capace di affrontare qualsiasi situazione e “pubblico”.

Perché se è vero che – statisticamente – gli uomini, cerchino nelle escort prettamente sesso, è altresì vero che – viceversa – le donne cerchino maggiormente compagnia. Nel senso più ampio possibile.

Lo Stallone da monta che faccia gridare, quello si rimedia al bar. Gratis.

A volte una donna ha bisogno solamente di una conversazione decente. È stereotipato anche questo, ma inconfutabilmente vero.

Tanto che, talvolta, si sviluppano soltanto relazioni virtuali, surrogato del reale, quel tanto che basta per tappare quel buco che si chiama solitudine.

Michele ha con sé una tracollina, dove – mi spiega – custodisce tutto il necessaire del perfetto gigolò sempre pronto: fazzoletti, preservativi, deodorante, spazzolino…

Così, se per caso arriva all’improvviso una chiavat… ehm…  CHIAMATA, può raggiungere la donzella subitamente in ogni dove.

Ovviamente gli ho posto anche la domanda del secolo, uno dei motivi principali per cui sto meditando di compiere il grande salto… sul letto:

«Ma le paghi le tasse?»

«No…»

Ecco, adesso sì che sono convinta!

In realtà, mi spiega che – anni fa – ci fu una proposta di legge che prevedeva un’iscrizione a un cd “Albo ufficiale degli Accompagnatori/trici”, con rilascio di apposito patentino che garantiva la professionalità, regolare partita iva e conseguente regime contributivo. Tutto per la modica cifra di seimila euro da versare a Papà-Stato.

Non se ne fece nulla e tutti siamo ancora in attesa di sviluppi in tal senso.

Sarebbe curioso scoprire cosa succederebbe se fosse “regolarizzata” la professione. Se cambierebbe qualcosa, se ci sarebbe un incremento o una deflazione. Se risulterebbe – così – più semplice e naturale dichiarare che lavoro si svolge nella propria vita.

Perché – udite, udite – la famiglia di Michele non sa di cosa lui si occupi.

«Per non farli preoccupare» dice lui.

Comprensibile, ma un pochino triste.

Per lo stesso motivo, non ha una ragazza, né la prevede. A questo motivo, si aggiungono anche tutti gli scenari poco simpatici che ha visto e ascoltato per lavoro e che non hanno certo contribuito a fargli formare un’immagine felice della vita di coppia. Un ultimo innamoramento – e relativa delusione – che risale addirittura ai tempi dell’asilo. O forse una delle tante scusanti che si dà. Ognuno di noi ne produce in quantità industriale, no?

Scontata, la domanda correlata:

«Ti sei mai innamorato di una tua cliente?»

«È capitato di provare un interesse…»

«E cosa hai fatto?»

«Nulla, lascio andare. Lascio passare il tempo, poi mi scordo. Poi mi passa…»

Molto più frequente, il vecchio cliché incarnato dalla cliente che si innamora del suo perfetto cavaliere.

Come è capitato a tutte noi, si è dovuta beccare il due di picche e – stavolta lei – farsela passare e dimenticare.

La mia curiosità non poteva non porgli la domanda più succulenta:

«Le richieste più strane che ti sono state avanzate?»

Sospiro, sorriso e via…

«La più classica, quella di farlo senza preservativo. In luoghi strani, tipo in Chiesa. Farlo davanti ai figli. Richieste davvero troppo sadomaso o troppo strane. Tipo una che voleva che la osservassi mentre si dilettava nella Coprofagia (a proposito di parafilie, consiglio di leggere QUI)… »

«E tu che hai fatto?»

«Non ho soddisfatto nessuna di queste richieste».

Infine non potevo non chiedermi/gli cosa succede se, ad assoldarti per il sesso, sia una che proprio non ti piace.

Per le donne è più facile, il non gradimento non è visibile. Una donna può essere semplice oggetto passivo e “subire” un amplesso da parte di chi non le piace, per denaro.

Come diceva Karen Walker:

«Oh tu lo farai. Lo farai allo stesso modo in cui qualsiasi altra donna che si rispetti lo fa! Ti sdrai, punti i tacchi verso il cielo e pensi alle borse!»

Per gli uomini è diverso:

«Semplicemente, rifiuto…»

No, il denaro non compra esattamente TUTTO…

Saluto Michele che si rende disponibile a rivederci, qualora avessi ulteriori domande da porgli. Non a pagamento.

Mi avvio verso casa.

In macchina, da sola, ripercorro con la mente tutti i discorsi che abbiamo affrontato. Domande soddisfatte e altre che mi si sono proposte.

Penso che è tardi, non ho per niente sonno e ho fame.

Decido di fermarmi in un ristorante che conosco, vicino casa. Sarei sola, mi è già capitato di cenare da sola, ma lì è diverso, mi conoscono, mi sento come in famiglia, non sarei a disagio lì, a cenare da sola.

Forse…

Ecco, vedi, è indispensabile a volte avere compagnia. Tutto questo sviscerare sulla solitudine, mi ha fatto sentire ancora più sola.

Vado a casa.

Se ti dicessero: “Dammi questa cifra e potrai comprare l’Amore”, la sborseresti?

Una volta uno mi disse: “Pagherei per una notte con te” io risposi, sorridendo:

“Per te, gratis!”

“Non hai capito quello che voglio dire…”

E invece avevo capito. Avevo capito, eccome.

Intendeva che, se data una somma, avesse potuto trascorrere una sera con me, ovvero averne la possibilità, senza gli impedimenti che – in realtà – c’erano, se, d’incanto, una qualsiasi cifra potesse rendere possibile tutto e azzerare i problemi, lui l’avrebbe pagata.

E la pagherei anche io.

Ma questo, ancora non è possibile.

Illudersi di averlo l’Amore, o farlo credere a qualcuno, o evitare di essere l’unica single all’ennesima cerimonia, di essere sola a cena, o al cinema, invece, è possibile.

Forse è vero che i soldi non comprano né la felicità, né l’amore, ma possono aiutare a “comprare” della compagnia per distrarsi un po’ dalla solitudine. E qualsiasi risorsa spesa per noi stessi, materiale e non, è sempre un ottimo investimento.

Ma non posso fare a meno di chiedermi quale delle due solitudini sia quella da lenire.

Se quella di chi paga, o quella di chi si offre.

 

« Una storia come la mia non andrebbe mai raccontata, perché il mio mondo è tanto proibito quanto fragile, senza i suoi misteri non può sopravvivere. Di certo non ero nata per una vita da geisha, come molte cose nella mia strana vita ci fui trasportata dalla corrente… […] Mia madre diceva sempre che mia sorella Satsu era come il legno, radicata al terreno come un albero sakura. Ma a me diceva che ero come l’acqua: l’acqua si scava la strada attraverso la pietra e, quando è intrappolata, l’acqua si crea un nuovo varco. »

Memorie di una Geisha.

 

PS: Mie care lettrici, se decidete di contattare Michele, ditegli: “Mi manda BB!” avrete uno sconto. Non male, no? 😉

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